domenica 26 dicembre 2010

Patrick Mc Grath - Acqua e Sangue


Tredici racconti horror… o suppergiù.

Di Mc Grath, alcuni anni fa avevo letto e molto amato “Follia” un libro che ebbe, tra l’altro, un notevole successo. Mi ero ripromesso che un giorno avrei approfondito, ma come spesso mi capita sono in seguito stato attratto da altro. Con un certo ritardo eccomi a mantenere la promessa.
Cominciamo con il dire questo: personalmente trovo che il racconto sia un formato adeguato per il genere horror (non per nulla li scrivo pure io…), avere un’idea orrorifica abbastanza buona da tenere desta la mia attenzione per un numero di pagine sufficiente a comporre un romanzo è difficile. Non impossibile, ma relativamente difficile. Inoltre il racconto è il trionfo dell’idea: non c’è tempo di annegare un’idea mediocre parlando d’altro, è necessario costruire un meccanismo ad orologeria che ti conduca dritto al punto. Altra cosa importante, ti puoi permettere di sperimentare. In questo libro, ad esempio, c’è un racconto narrato dal punto di vista di uno stivale. Molto interessante perché dura dieci pagine, un romanzo intero sarebbe agghiacciante.
Fatta questa premessa, veniamo al testo.
Diciamo questo, complessivamente mi è piaciuto “abbastanza”. Come accade spesso in una raccolta ho trovato i racconti diseguali. Pochi quelli memorabili, sebbene alcuni mi abbiano divertito parecchio. In ogni caso la scrittura è quasi sempre di classe e questo fa la sua parte, senza dubbio. C’è però anche da dire che alcuni racconti della raccolta sembrano davvero capitati lì per caso, ad esempio “Victor Bibulus” che di suo non è un brutto racconto ma a parte una tenuissima aura gotica non ha davvero nessuna attinenza col genere orrorifico. Lo stesso dicasi per “Marmilion” che pure è un racconto gradevole ma non ha molta attinenza con l’orrore e ha un finale abbastanza stupido e incomprensibile. Complessivamente i racconti che ho preferito sono quelli più grotteschi e stravaganti: “La mano nera del Raj” (anche se ha dieci righe di finale inutile e posticcio), “La mano di un maniaco”, “Il racconto dello stivale”, “La patata ero(t)ica”.
Alcuni racconti si rimandano tra loro per tematiche e ambientazioni, ad esempio “La malattia del sangue” è una sorta di prequel di “L’esploratore perduto”, tra l’altro conferisce al secondo una plausibilità diversamente abbastanza zoppicante. “Il racconto dello stivale” e “La patata ero(t)ica” sono ambientati nello stesso scenario post-olocauso nucleare. Le tematiche africane ritornano spesso così come quelle psicoanalitiche (ma che questa sia una delle cifre della letteratura di McGrath non dubitavo già dai tempi di Follia) e così una certa – ambigua - tensione erotica di sottofondo.

giovedì 23 dicembre 2010

La bottega dei giocattoli


In una notte di fine estate una ragazza veste l’abito da sposa della madre ed esce in nel giardino della sua grande casa di campagna. La mattina successiva giunge la notizia che i genitori, in viaggio d’affari, sono morti. La ragazza e i suoi fratelli sono costretti a trasferirsi a Londra dal fratello della madre, un giocattolaio maestro nella sua arte ma dispotico e disturbante, che ha sposato un’irlandese muta e si è preso in casa anche i due fratelli minori di lei.

Questo libro mi è piaciuto molto. Fatico a spiegare il motivo: dopotutto ha un inizio piuttosto avulso dal resto della storia, un finale decisamente un po’ troppo sospeso e un paio di inciampi e forzature. Eppure… eppure c’è qualcosa in questo testo che trasuda fascino.
Angela Carter pesca a piene mani dal romanzo gotico, lo aggiorna e lo riscrive con un talento e una raffinatezza lontana anni luce dalla maggior parte dei suoi contemporanei. La sua scrittura è piena di immagini evocative, i suoi personaggi sono umani, carnali e magnifici. Le tensioni erotiche percorrono il libro conferendogli una vitalità insopprimibile, le situazioni sono dense di rimandi psicoanalitici e di molte delle tematiche e delle atmosfere di cui sono intessute anche le mie storie: anzi, la verità è che sono profondamente invidioso… se fossi sufficientemente bravo, io scriverei storie così.

P.s.: da un racconto di Angela Carter è tratto il film “In compagnia dei lupi”, chi di voi lo ha visto ma non ha mai letto nulla della Carter credo si possa fare subito un’idea.

domenica 12 dicembre 2010

Bestiario Stravagante - Un approfondimento

Ieri mi sono d’incanto reso conto di una cosa, che in realtà il mio blog pur contenendo varie info sul mio libro (Bestiario Stravagante, per l’appunto), non contiene praticamente nessuna informazione di approfondimento sul progetto.
Credo che sia venuto il momento di porre rimedio.


Innanzitutto il contenuto.
Bestiario Stravagante è una raccolta di racconti horror.
I racconti sono 13 per 140 pagine circa, insomma sono racconti per brevi, alcuni brevissimi: ce se sono solo tre che superano le 15 pagine, nessuno le 20. Le pagine sono anche piccine, detto per inciso: insomma l’idea nel complesso è quella di letture “fulminee” per così dire.
Due sono i fili che intrecciano tutte le storie: l’attitudine al bizzarro, e la centralità del mostro.
Diciamo subito che in realtà i racconti non sempre vogliono fare davvero paura, molto spesso il senso del grottesco, dell’ironico, dello sberleffo la fanno da padrone. Insomma i miei mostri sono assai spesso più “freak” che “monster”. Spesso, ma non sempre. E comunque tra le due cose naturalmente non c’è una vera soluzione di continuità. Entrambe le declinazioni del mostro (“freak” e “monster” intendo) hanno in comune la stessa siderale distanza dalla “normalità”. Credo che sia questa la vera cifra della definizione di mostro in effetti: la rottura del cerchio della razionalità. Mostro, in fondo è qualsiasi cosa giunga a sparigliare, con la forza della sua evidenza, la tranquillità delle nostre vite centrate e quotidiane. Il “mostro” è spaventoso prima di tutto in quanto alieno, diverso, indecifrabile. Questo per noi normalmente ha un connotato negativo, ma non è detto che ciò sia sempre vero.
Ma intendiamoci, non è nemmeno sempre falso.
Per cui nei miei racconti c’è tutto il campionario delle possiblità: racconti dove il mostro sembra malvagio ma è buono, dove sembra buono ma è malvagio, dove il mostro vero è l’essere umano, dove è qualcosa di assolutamente assurdo (tipo un cassonetto della spazzatura o un amico immaginario). Ci sono racconti in prima persona dalla soggettiva del mostro (o in terza persona relativa ma comunque incentrati sul mostro), racconti che provano a stravolgere gli archetipi del genere (in particolare la figura più barbina ce la fa il vampiro, che mi è sempre stato abbastanza sulle palle…).
E così via.
Se dovessi scegliere una colonna sonora per la raccolta sarebbe Here come the bastard dei Primus.



Infine volevo dire due parole sul progetto dal punto di vista “commerciale”.
In realtà è presto detto: il Bestiario è un libro per tentare di farsi conoscere. Nasce da un accordo con un editore delle mie parti sostanzialmente senza finalità di lucro. Quello che cerchiamo dal punto di vista economico è “l’impatto zero”, ossia non rimetterci. Siccome è un libro per farsi conoscere, ancora più importante del cartaceo è l’e-book che si scarica gratuitamente dal mio sito internet (innerlandscape.altervista.org), con l’editore ci siamo accordati infatti per inserire anziché una licenza di Copyright una licenza d’uso Creative Commons. Insomma in sostanza il mio libro è un “Contenuto libero”, come si suol dire. Scaricatelo, stampatelo, passatevelo: è tutto perfettamente legale. Come descritto nella pagina del download. Qualunque feed è comunque molto gradito, tipo: una recensione sul vostro blog, a voi non costa non costa nulla e per me invece può essere una buona occasione di visibilità.
Se poi avete voglia di acquistare il cartaceo, lo trovate su ibs o sul sito di Damster, nel caso 1€ andrà al Centro Fauna Selvatica il Pettirosso.

sabato 11 dicembre 2010

Lingalad - La locanda del vento


Da qualche giorno Delirio ha pubblicato la mia recensione (corredata di intervista) a "La locanda del vento", l'ultimo lavoro dei Lingalad, gruppo folk bergamasco che seguo con passione ormai da qualche anno.
Vi invito a leggerla seguendo questo link.

mercoledì 8 dicembre 2010

Andreas Eschbach - Miliardi di tappeti di capelli


Un pianeta sperduto, una società immobile che da migliaia di anni ha un solo scopo: tessere tappeti di capelli per il palazzo l’Imperatore che, immortale, risiede da qualche parte nelle profondità dello spazio cosmico.
Questa in poche parole è l’idea del libro di Eschbach. Un’idea molto suggestiva, senza dubbio, intessuta con una tecnica originale ed apprezzabile: nessun protagonista, solo una successione di racconti semindipendenti che a poco a poco dispiegano l’arazzo della storia. Alcuni personaggi ritornano visti dagli occhi di altri e alla fine comunque il quadro si compone, senza buchi e senza passaggi a vuoto. Anzi, per essere precisi con UN passaggio a mio avviso inutile, ma comunque questo non inficia la bellezza complessiva del disegno.
Un libro perfetto, quindi? No, per nulla in verità. Se tutta la prima parte in cui si descrive la società del pianeta l’ho trovata davvero straordinaria, quando si penetra nelle profondità dello spazio entrando nel cuore dell’impero ho cominciato a trovare le spiegazioni un po’ cedevoli, e specialmente la “soluzione del mistero” un po’ deludente.
Altra cosa, la narrazione non mi ha convinto al cento per cento, a fianco di parti molto ben riuscite altre le ho trovate un po’ banalizzate, ma forse dovendo comprimere certi personaggi e certe situazioni all’interno delle dimensioni di un capitolo/racconto non c’era molto spazio per fare di meglio. Forse.
Infine, cosa che ho notato ahimè in più di un libro della Fanucci (una casa editrice che peraltro leggo molto e mi piace molto…), c’è qualche refuso e qualche frase mal chiara. L’impressione che mi ha lasciato, in sostanza, è che il lavoro fatto sul testo originale non sia stato svolto proprio alla perfezione.

venerdì 12 novembre 2010

Il Bestiario su youtube

Volevo segnalarvi questo video in cui Antonio Liccardo (Il collezionista di attimi), già vincitore con il suo "Capatosta" del concorso a tema Bestiario Stravagante indetto da Kult Underground, inaugura il suo canale youtube con una recensione del mio libro.
Buona visione!



P.S.: sempre in tema "Bestiario" da pochi giorni è anche on-line la mia intervista su Delirio.

venerdì 5 novembre 2010

Giallo

Nel lungo week-end dei Santi (ma ormai anche da noi meglio conosciuto come week-end di Halloween) io e Simona abbiamo noleggiato qualche film horror per farci una bella scopracciata tematica. In particolare i film erano “Diary of the dead” il quinto di Romero a tema zombi, “Wolfman” un remake de “L’uomo lupo” il famoso film con Bela Lugosi e Lon Chaney anche citato in “Un lupo mannaro americano a Londra”, e “Giallo” l’ultimo film di Dario Argento a cui è dedicato questo post.

Diciamo la verità. Dopo “Phenomena”, con la sola eccezione (per me) di “Non ho sonno”, il buon Dario davvero non ne ha più imbroccato uno di film, per cui sinceramente se anche continuo ad essere un fedele fruitore delle sue opere, non è che nutrissi molta fiducia in questo “Giallo”. Anche la trama: solito serial killer che rapisce e tortura modelle, con investigatore disturbato che gli da la caccia, non è che mi facesse troppo ben sperare.
Curiosità, un po’ di attenzione è stata data al film perché la produzione sembrava non voler pagare il suo cachet ad Adrian Brody, il protagonista (non so se poi lo abbia fatto). Io ho saputo della sua esistenza così, anche perché in Italia è arrivato direttamente il dvd.
Che dire del film? Poco mi attendevo, poco ho avuto. E “poco” credo che sia la parola che meglio lo descrive. Poco slancio, poca inventiva, tutto sommato poca truculenza, trama e personaggi all’osso. Persino corto: un’ora e venti e rotti, il minimo sindacale per chiamarsi film. L’impressione complessiva è quella di trovarsi davanti al pilot di una serie televisiva.
Un po’ come “Il cartaio”: non è particolarmente brutto, ma anonimo. “Giallo” sembra essere per certi versi ancora più ripulito da certi eccessi tipicamente “argentiani” (unica concessione, la storia personale dell’investigatore), che da un lato sono la sua cifra stilistica, dall’altro lo fanno apparire sempre parecchio retrò.
E questo è quello che in fondo io penso di Dario Argento: che sia rimasto abbastanza fermo agli anni ’70 (o al massimo primi ’80), sia dal punto di vista della regia, sia dal punto di vista della sceneggiatura. Che non sia stato capace di aggiornarsi adeguatamente, tanto che una volta era un regista in qualche modo d’avanguardia, mentre ora è rimasto in retroguardia.
Una cosa specialmente gli vorrei dire: di scrivere i soggetti, ma poi farsi aiutare nelle sceneggiature. Personaggi e i dialoghi sono poco interessanti, a volte proprio banali. Non a livello di: “Che cos’hai? Ti è morto il gatto?”, ma a volte poco ci manca, io alle volte capto proprio dei passaggi a vuoto, degli sfilacciamenti notevoli.
In questo “Giallo” in particolare le modelle sono manichini, Emmanuelle Seinger – come sempre –legnosa come poche, banali i risvolti psicologici dell’assassino, appena sul livello di guardia quelli dell’investigatore (che i colleghi chiamano New York, designandolo col luogo di provenienza anziché col suo nome, una cosa che non so perché mi fa incazzare come poche: voglio dire c’ho le mie turbe pure io, eh…), e l’ombra della noia si affaccia sullo spettatore a più riprese, tanto da farci sperare che almeno il serial killer faccia a fette un po’ di modelle.
Per concludere: peccato. Un film solo per fan, gli altri se lo possono tranquillamente scontare.

venerdì 29 ottobre 2010

Hana B - Don't let me go

In questi giorni sono stato colpito dalla canzone dello spot della ONG "Save the Children", una canzone cantata da una voce maschile calda e triste secondo me di grande effetto, per cui ho fatto una ricerca su internet allo scopo di capire gruppo e titolo della canzone.
Siccome ottenere questa informazione non è stato banalissimo a partire dalle query che mi sembravano più ovvie (tipo "Save the children" "spot" "canzone" "ottobre" "2010") spartisco questa informazione con voi, per chiunque la cercasse.
La canzone, come da titolo del post si chiama "Don't let me go" e il gruppo in questione sono gli "Hana B".
Qui sotto il video, preso da you tube, che a tutt'oggi è stato pochissimo vivsitato, se si pensa al livello di esposizione mediatica del pezzo (il chè rinforza la mia idea che questo post aiuterà più di una persona).
Detto per inciso sperando che giri, il video... è la prima volta che provo a infilare un video nel blog. Comunque se non fosse così una breve ricerca su you tube vi porterà molto in fretta a destinazione.



lunedì 25 ottobre 2010

Pranzo di Ferragosto

Sabato sera ho visto questo film in prima tv su raitre. Solitamente non faccio post per film visti in tv, ma in questo caso mi sento di fare un’eccezione. In realtà non so nemmeno io esattamente perché, “Pranzo di Ferragosto” è un film piccolo piccolo, breve, che non ti resta necessariamente in testa. Il motivo per cui lo faccio è che tratta un tema che al cinema di solito non va per la maggiore: la vecchiaia. “Come?” direte voi i film sono pieni di persone di una certa età, spesso hanno anche ruoli di primo piano, persino i cartoni animati ne hanno scoperto gli acciacchi (vedi “Up”). E’ vero, ma di solito o la loro età anagrafica è accidentale, o fanno i nonni, o raccontano la loro vita passata in quanto piena di episodi interessanti. Non c’è niente di sbagliato in questo, naturalmente, ma mi sento di fare un appunto: film come questi in realtà o non parlano proprio di vecchiaia o lo fanno solo marginalmente, utilizzandola come strumento narrativo per parlare d’altro. Una parziale eccezione è “Pomodori verdi fritti”, in cui se è vero che la narrazione del passato è preponderante, è anche vero che vengono trattate – pur con leggerezza - anche tematiche più crude: l’ospizio, la morte, la solitudine, la “gestione” dell’anziano.

In “Pranzo di Ferragosto” invece si parla proprio di vecchiaia in quanto tale. La storia è questa: un signore che vive con la madre anziana e ha un sacco di debiti, si trova ad ospitare in casa altre tre donne anziane (madre e zia del suo amministratore in fuga con l’amante, e la madre del suo medico curate) per un giorno e una notte. La donne
dapprima accettano questa convivenza malvolentieri ma poi stringono amicizia e vorrebbero che il tutto durasse più a lungo.
Niente più di questo, niente di “straordinario”, verrebbe da dire. No, proprio nulla, anzi ad essere messo in scena è proprio l’ordinario. Con rigore e leggerezza, ossia senza sconti (di certo la vecchiaia non viene mitizzata in saggezza) ma senza calcare la mano (nessun dramma a fare da catarsi).
Nessun rimpianto del passato, si parla vagamente dei figli, dei problemi economici della famiglia ospitante, ma è il presente a dominare la prospettiva. E’ bello vedere queste signore rimpallate come pacchi postali che inizialmente vengono accudite come bambine ma poi ritrovano, nel piacere dello stare insieme, la loro parte di indipendenza.
Specialmente mi piace molto il messaggio che il film manda: la vecchiaia non è una specie di “tempo supplementare” in cui passare le giornate ad attendere la morte. Anche quando si è pieni di acciacchi e la prospettiva del futuro giocoforza si restringe, c’è ancora una vita che vale la pena di vivere, nel presente, fino in fondo.
Brave le attrici (non professioniste) ma anche il protagonista (e regista), nel ruolo del figlio un po’ avvinazzato e cialtrone, ma in fondo di buon cuore. Da antologia la scena in cui lui e l’amico (altrettanto sfigato) vagano per una Roma spopolata alla ricerca di un po’ di pesce da cucinare per pranzo e finiscono a comprarlo da un gruppo di baraccati che si improvvisano pescatori nel Tevere.

mercoledì 20 ottobre 2010

Dichiarazioni post-concorsuali

Pubblico molto volentieri (con il suo consenso...) le dichiarazioni di Antonio Liccardo vincitore del concorso a tema "Bestiario stravagante" per la categoria racconti:


Azz! Ho vinto! Olé-olé!
Per me è stato un piacere partecipare al progetto, mi spiace che in pochi abbiano accettato la sfida.
E' stato un ottimo esercizio di scrittura, non è mai facile creare un sequel, un prequel o qualcosa che sia mantenuto molto vicino al racconto originario. Soprattutto quando il suddetto racconto non è il tuo.
Ho accettato per questo motivo, non per avere la copia omaggio, né per denari o quant'altro.
Non nascondo che ultimamente ho partecipato anche a concorsi in cui il premio principale era in denaro.
Ora ho vinto, potrei pure astenermi dal dirlo, ma mi sono cimentato nella scrittura di "Capatosta" perché, beh, mi andava di farlo. Scrivere è quasi sempre un piacere, e quando non lo è del tutto, per me è utile il "temino a casa". E poi l'horror merita sempre ;) .

L'iniziativa era molto valida, un buon modo per far leggere Bestiario Stravagante (molti racconti erano superbi, complimenti a Prandini) e far partecipare gli altri.
Forse la pecca è stata la poca pubblicità, so di tanta gente che se lo avesse saputo in tempo avrebbe inviato racconti mostruosi. L'accezione di quest'ultimo aggettivo, poi, è a scelta. Ho detto che avrebbero partecipato in tanti, ma non ho detto in che modo!

Bene, mi auguro di cuore che la storiaccia vi sia piaciuta davvero. Io aspetto impaziente la mia copia cartacea del Bestiario, così da nutrire il mio ego da scrittore perennemente in erba e tenerlo a bada per un altro po'.

Enjoy.
Antonio Liccardo, il Collezionista di Attimi.
www.ilcollezionistadiattimi.jimdo.com


Che dire... grazie ad Antonio della partecipazione e dei complimenti.
Per parte mia io rinnovo i miei a lui per la vittoria.
Sicuramente una maggiore pubblicità avrebbe dato all'operazione un "tiro" diverso (anche se poi non è così banale capire DOVE farla questa pubblicità...), forse anche che il concorso si sia svolto per gran parte in estate è stato uno svantaggio, ma comunque per quanto mi riguarda bene lo stesso: tutta esperienza!


domenica 17 ottobre 2010

CAPATOSTA

Il 30 settembre sono scaduti i termini del concorso indetto da Kultvirtualpress per racconti e immagini derivati da uno dei racconti di “Bestiario Stravagante”. Ci tengo molto a ringraziare la redazione che mi ha offerto questo spazio e in particolare Marco Giorgini che ha lavorato attivamente alla realizzazione di detto concorso.
Ahimè, devo dire che la partecipazione è stata davvero esigua. D’altronde la concorrenza, a livello di concorsi letterari su internet è molto agguerrita e comprendo che l’offerta di una copia del mio libro (a fronte di chi offre in premio, magari, la pubblicazione di una selezione dei racconti pervenuti in un’antologia cartacea…) sia risultata scarsamente appetibile.
Che dire… peccato!
Ma veniamo ai risultati.
Di “opere visive” non ne è arrivata, ahimè, nemmeno una per cui il premio di quella sezione rimane inassegnato.
Per quanto riguarda invece la sezione “racconti” sono molto felice di assegnare la vittoria ad Antonio Liccardo con il racconto “Capatosta – parti extra/director’s cut de ‘La Cantina’ ”).
A seguire il testo: buona lettura!


Capatosta
(parti extra/director's cut de La Cantina)

Il tipo lasciò il bar ricambiando il saluto con la stessa gentilezza del gestore del locale che gli mostrò un sorriso compiaciuto e lo osservava insistentemente, quasi con goduria.
Il gerente sorrideva ancora quando, una volta solo, prese la cornetta del telefono e compose un numero.
- Non ci crederai, ma ne ho trovato uno ed è quello che fa per te.
- Fa per me – ripeté colui all'altro capo del filo – e per te?
- Dài, che prenderai due piccioni con una fava.
- Addirittura?
- Certo, certo: così tu ti divertirai come desideri, e i piccoli staranno a posto per un altro mesetto almeno.
- Caro mi costa questa doppia soddisfazione, o sbaglio?
- Sbagli. Ti costa poco, anzi non ti costa nulla.
- Fammi indovinare: è per la tua collezione.
Il barista, con voce estasiata, disse: - Sì! E' perfetto per quest'anno, vedessi che...
- Okay, okay, non mi raccontare i particolari. La mania è la tua.
- Ehi, porta rispetto al sindaco della tua città! Il mio è uno studio scientifico personale e...
L'altro tagliò corto: - Va bene, dimmi cosa devo fare.
- Dagli le chiavi, quest'è.
Incredulo, quello all'altro telefono stette in silenzio per un po' e poi domandò: - Le chiavi... della casa?
- No, del trerruote. Certo, della casa, di quella casa.
- E come hai fatto?
- È uno di città. Gli ho detto del silenzio che per lui può essere un problema, ma è stato ancora più contento. Vuole fare lo scrittore.
- Uno di città, eh: tenero tenero...
- e capatosta!
E risero di gusto.
- Mi ha detto che da piccolo stava sempre qui coi genitori, ma chi se li ricorda.
- Devo chiedere ai piccoli se si ricordano loro.
E di nuovo risate.
Poi il sindaco/barista salutò l'altro e riattaccò. Si fregò le mani e pensò che doveva essere un ottimo pezzo da anno 2010.

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Il tipo salutò da lontano il proprietario della casa che, sulla porta, picchiettava irrequieto le dita su un bicchiere di whisky.
Quando quello fu abbastanza lontano, il padrone acciuffò le chiavi dell'auto dal mobiletto all'entrata e si avviò fuori di casa. Si mise nel veicolo, e partì.
Pochi chilometri dopo arrivò a un'abitazione grande, silenziosa, ben tenuta. Vuota. Ne aprì il cancello del cortile e una volta dentro fece uscire da una casetta da giardino due sdraio che spiegò e un pallone da volley che lanciò sotto al canestro.
Entrò in casa, dal salone passò in cucina dove prese una porta e scese in cantina.
Accese la luce e una montagna di carne ricca di cicatrici si avventò contro di lui. Gli lanciò contro una proboscide lucida lunga un braccio e due cicatrici si strapparono e rivelarono occhi grossi quanto un limone, famelici.
Il padrone di casa si afferrò la catenina che aveva sotto la maglia e la espose. Una pietruzza di colore verde screziata di raggi e stelle dorati. Brillò.
Il pallido essere ritrasse la proboscide orripilato e dalla trombetta che aveva sulla nuca partì un fischio liquido. Rimase fisso e tremava così tanto che sembrava ribollisse.
Da un angolo della cantina, dietro uno spesso armadio, fecero capolino altre tre creature identiche, prive però della proboscide ma con un appendice dentata a forma di spinotto elettrico.
- Calma: sono io - precisò il padrone, che allungò una mano, tenendo l'altra ben salda sulla pietra al collo. Accarezzò quella massa sformata che a poco a poco placò il suo tremolio. Le altre tre si avvicinarono a quella con la proboscide e furono carezzati anch'essi.
- Ho una sorpresa per tutti voi, ma ho bisogno della vostra partecipazione – disse, e da una tasca del pantalone prelevò quattro pietre di colori diversi ma brillanti come quella che portava al collo.
Ne poggiò ognuna sulla punta delle sacche di carne, le quali allargarono la cicatrice più lunga e ingollarono i minerali.
Cominciarono a gorgogliare, sbuffare, sciogliersi per poi ricomporsi, prendere qualsiasi dimensione e poi soffermarsi in forme stabili. Il proprietario intanto si avvicinò all'armadio e lo aprì.
Uno di quei cosi divenne ciò che somigliava a un maschio umano grosso di costituzione, gli altri ammassi divennero una figura femminile matura e uno che sembrava un bimbo piccolo. L'entità con la proboscide stava divenendo la stessa figura femminile ma in scala ridotta.
Più passavano i minuti più si definivano. Erano nudi.
- Vestitevi con questi – il padrone lanciò loro degli abiti prelevati dall'armadio.
Disse al maschio che stava crescendo ad altezza uomo: - Quando andate via, portagli via ciò che può fare rumore qui vicino. L'ultima volta non si è sentito nulla.
In risposta ricevette un impercettibile cenno della testa che andava pian piano allontanandosi dal corpo grazie a un collo dapprima piatto, poi taurino, infine più lungo.
Indicando la porta della cantina - Ti sta aspettando il sole che ti piace tanto - fece alla femmina più grandicella, dal capo della quale stavano zampillando sottili fili lunghi che assumevano sempre più il colore del grano.
- A te, indovina: è in giardino, è rotonda, fatta di pelle lavorata ma non è una testa umana mozzata. Cos'è? - e il più piccolo umanoide capì, abbozzando ciò che sembrava un sorriso a lato di una cicatrice che si stava gonfiando a mo di labbra.
Alla donna giovane in via di composizione declamò – Tu sarai la star di questo film – e le diede un pizzicotto su quella che stava per delimitarsi come guancia – e io mi occuperò della location.

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Il tipo per poco non incontrava il proprietario della casa: il primo andava via, il secondo arrivava in auto, rimorchiando una betoniera.
Quello che emulava le fattezze di padre era in attesa al cancello, la madre si godeva il sole su una delle sdraio, il più piccolo calciava ripetutamente la palla di pallavolo contro il muro e la giovane saltò dalla sua sdraio per avvicinarsi al padrone, visibilmente impaziente.
- Non stai nella pelle, eh? A proposito, visto che siamo pronti – lui agitò una cazzuola che aveva in mano – mi dovresti qualcosa.
Lei chiuse gli occhi, inspirò profondamente e sputò a terra un grumo di colore bianco. Il padrone lo raccolse dall'erba del cortile, lo pulì e ne rivelò il sassolino colorato che le aveva fatto inglobare giorni prima.
La ragazza iniziò a perdere consistenza.
- Su, su: non c'è tempo da perdere – e la trascinò con se in casa.

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Il tipo venne spinto nell'enorme bocca dell'essere con la proboscide, con gli innumerevoli tentacoli che ne fuoriuscivano.
Il proprietario della casa guardava incantato la scena, giocherellando con tre pietre colorate in una mano e quella pendente al collo con l'altra.
- È tenero come piace a te, direttamente dalla città.
Dalle scale di legno discesero veloci gli altri tre componenti della famiglia che erano a uno stadio di decomposizione avanzato, e attendevano impazienti intorno alla massa dalla quale si udiva uno scrocchiare di ossa.
Il padrone pochi minuti dopo ordinò: - Okay, ora mi lasci il pezzo. Succhialo e sputamelo.
Il sacculo gigante si fermò per un attimo, ruotò alcune delle sue lingue appiccicose, risucchiò potente e sputò a terra il teschio impeccabilmente ripulito del tipo che si era recato in quell'abitazione perché voleva diventare uno scrittore.
Il padrone lo raccolse, lo fissò.
Le altre tre creature ritornarono allo stato di cumuli di carne. Affondarono la propria spina di denti nel mucchio carnoso che si stava nutrendo, e cominciarono e succhiare.
- Bravi i miei piccoli, bravi – si compiacque e se ne andò, passando accanto a una telecamera con una luce rossa accesa.
A notte fonda il proprietario della casa bussò a una porta con la pomposa targhetta "sindaco".
Fu nella villa e poggiò un sacchetto sul tavolo che il sindaco impaziente lo portò via, dirigendosi in una stanza che recava fuori una scritta: "evoluzione".
Domandò senza vero interesse – Com'era l'inquilino?
- Tenero tenero.
Il sindaco raccolse il teschio e gli batté rumorosamente le nocche sul cranio.
- E capatosta!
Si sganasciarono dalle risate; il sindaco poggiò il reperto osseo su un mastodontico scaffale ligneo, accanto a centinaia e centinaia e centinaia di teschi.

lunedì 11 ottobre 2010

Inception

Cobb è un estrattore. Una persona che entrando in un sogno condiviso è in grado di carpire i tuoi pensieri. Ne ha fatto un mestiere: vende la sua abilità a fini di spionaggio industriale. Dopo aver fallito un colpo, è proprio la sua vittima ad offrirgli un nuovo incarico: impiantare nel cervello del figlio del più magnate mondiale dell’energia l’idea di dividere il suo impero dopo la morte (imminente) del padre. Sembra un’impresa impossibile, ma in cambio Cobb avrà quel che più desidera, la possibilità di tornare a casa dai suoi figli.

Vorrei raccontare di più della trama di Inception, che detta così sembra piuttosto banale il chè non rende giustizia all’opera. Al contrario le sue contorsioni sono talmente strette e complicate che mi ci vorrebbe mezza giornata per farlo, la qual cosa in qualche modo mi costringe alla sinossi stringata di cui prima.
Anche per quanto riguarda il commento, ci vorrebbe molto tempo e molto spazio, specialmente forse sarebbe necessario parlarne con qualcuno che lo ha visto.
Mi limiterò perciò a gettare nel calderone alcuni appunti sparsi.
Innanziatutto, com’è il film? Da vedere. Quantomeno certamente da vedere per chi ama un certo tipo di cinema “lisergico” come me. Da questo punto di vista Nolan non tradisce mai. Tranne quando si dedica a Batman, su questo sospendo il giudizio perché a me il personaggio (i supereroi in generale) sta abbastanza sulle palle, per cui quel “ramo” me lo sono sempre scontato.
Ma Batman a parte c’è un filo rosso nell’opera di Nolan che va da “Memento” a “Inception” passando per “The prestige”, ossia il tema dell’alterazione del reale, della sua dispercezione e della menzogna. A parte queste tematiche di fondo sono tre film molto diversi, ma di certo tutti e tre molto originali.
Tra essi “Inception” è certamente il più spettacolare nonché forse il più ambizioso, ma anche il più meccanico. Contiene moltissime idee ma la maggior parte di esse rimangono appena sbozzate, sullo sfondo, e nel continuo rutilare di eventi non vengono mai messe veramente a fuoco o alla prova.
Il suo peccato, piuttosto insolito per la verità, è la sovrabbondanza: vorrebbe descrivere una “realtà” che ha regole differenti, ma non lascia mai davvero il tempo allo spettatore di riparametrarsi. Perduti nell’abisso progressivo del sogno nel sogno nel sogno nel sogno non abbiamo mai tempo di riflettere, ci dobbiamo sempre “fidare” che gli incastri riescano, che quello che ti viene detto abbia un senso. Tra l’altro per parte mia, almeno in una circostanza - che non descrivo per non fare uno spoiler grosso come una casa – ho sentito un chiaro odore di forzatura, se non proprio di “frode”.
Ma anche sorvolando su quest’ultimo appunto, non ritengo che quelle precedentemente descritte siano qualità positive. Una storia, se è buona abbastanza, se ha fiducia nella sua logica, dovrebbe lasciarti il tempo di valutare, “Inception” non lo fa.
C’è però anche dell’altro: alla rincorsa di una spettacolarità che ha “Matrix” come paradigma, la velocità si è mangiata i personaggi, ne ha banalizzato i risvolti psicologici rendendoli a mio avviso un po’ bidimensionali. Da questo punto di vista la distanza sia da “Memento” che specialmente da “The prestige” è siderale.
Detto questo comunque “Inception” non è Matrix per cui tutto il capitolo “predestinazione e altre simili minchiate” ci viene risparmiato, e questo l’ho trovato molto apprezzabile.
Dunque “Inception” non è bello? Tutt’altro, non fraintendetemi, Inception è MOLTO bello, uno dei film più belli degli ultimi anni, quantomeno come film di genere.
Una goduria: specialmente per gli occhi.
Però… però non è bello quanto “Memento”, secondo me, e soprattutto non è bello quanto “The prestige” che tra film mi Nolan trovo sia di un’incollatura i migliore di tutti.

sabato 2 ottobre 2010

La Passione

Per rilanciare la sua carriera un regista in crisi (Orlando), deve trovare una storia in cui far recitare una divetta televisiva (Capotondi) reduce da un serial in costume di grande successo. Il giorno del colloquio con il produttore, però, nella sua casa vacanze in Toscana un tubo traditore si rompe, allagando il suo appartamento e infiltrandosi fino ad un dipinto del ‘500 nella cappella sottostante. Per evitargli grane con la sovrintendenza la sindachessa gli chiede di essere il regista della sacra rappresentazione del paese cinque giorni dopo. Lui accetta ma delega l’incombenza ad un suo allievo ex-galeotto (Battiston) incontrato per caso sul posto, mentre continua a cercare una storia per il suo nuovo film.

La Passione è una galleria di personaggi e piccoli dettagli memorabili che però faticano a cucirsi insieme alla perfezione lasciando alla fine un vago sapore di irrisolto.
Le scene memorabili d’altronde sono parecchie: Battiston che improvvisa uno spettacolo per le vie dal borgo vestito da alieno e viene messo in fuga da un minuscolo cagnolino. La fila per telefonare con il cellulare (la sommità di una scalinata è l’unico punto del paese in cui c’è campo dopo che, per paura dell’elettrosmog, la cittadinanza ha fatto smontare il ripetitore). La figura di Guzzanti, ingaggiato come protagonista della rappresentazione, che normalmente sbarca il lunario leggendo le previsioni del tempo. I copioni scritti sotto dettatura dai bambini della scuola elementare, visto che le uniche due fotocopiatrici del paese sono guaste. La scena un cui Silvio Orlando a cena con la Capotondi con una gamba finto-ingessata trova finalmente un momento di ispirazione abborracciando un copione che per un istante sembra poterlo riscattare… ma poi tutto finisce in vacca. Eccetera eccetera.
Insomma il film non è perfetto, ma merita comunque la visione. Specialmente il finale mi ha lasciato francamente un po’ perplesso, ma spiegarvi il perché – oltre a costringermi a raccontarvelo - richiederebbe una trattazione di tre o quattro pagine, il chè non mi pare il caso…

Un approfondimento: il personaggio interpretato da Silvio Orlando.
Ho letto su internet alcune recensioni prima di scrivere questa mia e volevo scrivere questo piccolo supplemento per parlare di un aspetto che (almeno nel piccolo pool da me esplorato) sembro essere l’unico ad avere rilevato. Ho letto qualcuno che ha parlato del personaggio interpretato da Silvio Orlando come di “buono e giusto”, qualcun altro che ne ha parlato come di qualcuno che “lotta contro la volgarità imperante”, ma specialmente tutti sembrano pensare che noi dovremmo in qualche modo identificarci con lui e specialmente identificarlo col regista.
Per parte mia ho trovato invece il personaggio di Silvio Orlando decisamente negativo, uno di quei personaggi con cui è anzi assai difficile trovare un qualunque livello di solidarietà.
E’ la sua incuria a lasciare esplodere il tubo dell’acqua, la sua debolezza a renderlo facile bersaglio per un ricatto, il suo menefreghismo nei confronti dell’impegno preso a mettere la sacra rappresentazione a rischio di naufragio, la sua supponenza a mandare definitivamente a gambe all’aria la sua vita artistica.
Specialmente quest’ultimo aspetto mi pare emblematico. Chiamato a mettere insieme un copione (e accettato di farlo), per la Capotondi mente, prende tempo, finge di infortunarsi, abborraccia una storia trita e banale e di fronte ai più che legittimi dubbi della ragazza cerca di metterla nell’angolo con una citazione dotta – la via più facile per chi non ha argomenti. E’ veramente un piacere vederlo lasciare lì come un pesce lesso.
La volgarità impera? Forse sì. Ma la torre d’avorio dell’intellettuale che si ritiene migliore degli altri non è una risposta, questo a me è parso il messaggio di Mazzacurati. Il personaggio di Silvio Orlando mi è antipatico persino quando dice a Guzzanti che come attore è un cane (cosa peraltro evidente a tutti), rischiando di mandare in vacca la recita. E mi è antipatico due volte quando di inginocchia di fronte all’altro per riportarlo indietro.
Codardo e disvitale, è il perfetto rovescio della medaglia dell’Italia in cui la volgarità impera.

mercoledì 22 settembre 2010

Shrek 4



Giovedì scorso io e Simona abbiamo deciso di andare al cinema. Lo abbiamo fatto in una maniera per noi inconsueta, un po' come facevamo da bambini con i nostri genitori, ossia anzichè mirare ad un film in particolare, abbiamo mirato al genere di intrattenimento "cinema" verificando poi che vi fosse in cartellone qualcosa di nostro gradimento. Per parte mia speravo che fossero già usciti "The horde" oppure l'ultimo di Cristopher Nolan di cui al momento mi sfugge il nome (quello con Di Caprio, comunque...).
Ci siamo trovati invece di fronte a un cartellone ancora abbastanza "estivo" - leggi pieno di vaccate -le uniche cose che ci attraevano erano l'ultimo Shrek e il remake di Nightmare (che quanto a vaccata non deve essere seconda a nessuno ma comunque ci intrigava).
Abbiamo propeso per Shrek, certi che poco o tanto comunque ci saremmo divertiti. In effetti è andata così. Non è nuovo come il primo o brillante come il secondo, ma comunque siamo tornati a casa soddisfatti. L'unica cosa che onestamente non ho apprezzato fino in fondo è il meccanismo che mette in moto la vicenda: i tormenti dell'orchità (perduta in questo caso) mi hanno veramente un po' rotto le scatole. Per il resto, il divertimento c'è, e questo è quello che ci aspettavamo. Due particolari mi hanno colpito particolarmente: il bambino ciccione e ingrugnito che alla festa di compleanno dei piccoli vuole a tutti costi che Shrek ruggisca ("FAI ROAR." gli dice più volte con cipiglio antipaticherrimo e grande scortesia, come se l'orco fosse un'attrazione da baraccone). E la figura della Fiona ucronica (quella dell'universo parallelo in cui Shrek viene mandato da Tremotino) che guida la rivolta degli orchi con un piglio che mi ha ricordato la Red Sonya interpretata da Brigitte Nielsen in Yado. Un po' meno slanciata magari, ma molto affascinante...

martedì 27 luglio 2010

Concorso Bestiario


Ciao a tutti, interrompo per un istante il silenzio radio del mio blog per dare un po’ di visibilità ad un’iniziativa riguardante il mio libro.

Kult Underground ha indetto un concorso che consiste nell'effettuare un opera grafica (es.: diegno) o scrivere un racconto derivando l'idea da una delle storie di Bestiario Stravagante. Chi è interessato può scaricare la versione e-book dal mio sito (innerlandscape.altervista.org) piluccarselo un po’ e poi… farsi venire un’idea! Il concorso è articolato in due sezioni: una per il disegno e una per la narrativa e al vincitore di ciascuna andrà una copia cartacea del libro. Il bando scade al 30 settembre.
A questo link potete trovare il bando completo del concorso, mentre a quest’altro link potete leggere la recensione che Kult Underground ha fatto del mio libro.
Inoltrate la notizia!

giovedì 10 giugno 2010

I misteri di Massimo Polidoro


Scusate se rimando nuovamente il post di aggiornamento sul Bestiario ma sto vivendo giorni di attività febbrile, al momento ho nel mirino l’Esame di Stato da biologo per cui fino alle fine della prossima settimana grossomodo temo che ne sarò completamente assorbito.
Faccio quindi un brevissimo aggiornamento per del mio blog per parlare della cosa che più mi ha tenuto compagnia nei momenti di pausa dallo studio in questa settimana di ferie che ho passato a casa.
“I misteri di Massimo Polidoro” è un podcast che parla, per l'appunto, di misteri. Dracula, gli UFO, il Cronovisore, la Morte di Paul McCartney, la spada nella roccia, l’assassinio di JFK, i cerchi nel grano, la teoria secondo cui non saremmo mai stati sulla Luna. Una sorta di Voyager? In un certo senso, ma alla rovescia: gli stessi misteri che Giacobbo monta come panna, Polidoro li squaglia come neve, mostrando come quasi nulla di tutto questo pout-pourri resista a lungo sotto la lente di un po’ di sana ricerca storica, di sano metodo scientifico e si sacrosanto scetticismo.
Il podcast lo trovate sul sito personale dell’autore www.massimopolidoro.com, le puntate a tutt’oggi sono una quarantina, alcune sono brevi altre un po’ più lunghe ma raramente sforano i 20 minuti.
Vi aggiungo anche questa notizia: Massimo Polidoro, professore universitario e scrittore è uno dei soci fondatori e tra i maggiori attivisti del CICAP il “Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale” fondato una ventina di anni fa, pensate un po’, da Piero Angela. Vi segnalo il sito: www.cicap.org.

martedì 25 maggio 2010

AMYGDALA


Ciao a tutti, è un po' che non ci sentivamo, lo so... vi sono mancato? Lo immagino.
Il fatto è che in questo ultimo mese la mia attività si è fatta febbrile sotto molti punti di vista, specialmente per la promozione del Bestiario (sulla quale vi aggiornerò nel prossimo post) ma non solo. L'ultimo post con cui vi avevo lasciato all'inizio di maggio riguardava la mia esperienza di sceneggiatore di un cortometraggio per il "4 giorni corti" del "Nonantola film festival". Ebbene è un grande onore per me comunicarvi che...
No, non abbiamo vinto il primo premio.
Neanche il secondo.
Nemmeno il terzo o quello del pubblico.
Per la verità non abbiamo vinto nemmeno la più classica delle bamboline.
Quindi, dicevo, è un grande onore comunicarvi che...
lo abbiamo messo su youtube, in modo che tutti lo possiate vedere.
Si intitiola Amygdala.
Buona visione!

martedì 4 maggio 2010

4giorniassailunghi

In questo periodo la mia vita corre davvero assai veloce… mi spiace avere abbandonato un po’ il mio blog a sé stesso nell’ultimo periodo, però… che dire, davvero non posso farcela.
Il 25 aprile c’è stata la prima presentazione di Bestiario Stravagante, in fiera campionaria.
Ora ne sono già fissate altre due:

Sabato 15 maggio - ore 11:20 – LIBRIAMODENA (Modena)
Mercoledì 19 maggio – ore 21 – Paguro Cafè (Reggio Emilia)

Inoltre il sito Scheletri, mi ha omaggiato di una recensione piuttosto lusinghiera che trovate qui.


Inoltre, non pago della mia esperienza di banale scrittore però la scorsa settimana non ho potuto fare a meno di imbarcarmi in una nuova impresa: quella di sceneggiare un cortometraggio. Assieme ad alcuni amici ci siamo infatti iscritti al concorso “4giornicorti” all’interno del Nonantola film festival. L’idea è questa: ci si iscrive con la propria troupe il mercoledì, sorteggiano il genere del corto che dovrai girare, dopodichè si hanno quattro giorni per produrre un filmato di 4 minuti massimo che contenga almeno una scena girata a Nonantola e tre elementi obbligatori disvelati la
sera del sorteggio.
Una bella sfida ve lo assicuro, specialmente per un gruppo di persone che un cortometraggio non lo hanno mai fatto. Non mi dilungo nel descrivere nel dettaglio tutta l’esperienza (se avete voglia di leggere qualcosa di più in merito vi rimando ad un articolo sul blog di Sara che ha sceneggiato con me il corto), dirò solo che è stata un’esperienza davvero entusiasmante e al contempo allucinante. Eravamo partiti con l’idea di girare un corto alla buona giocando sul nostro lato trash e invece abbiamo finito per fare una cosa assai seria e forse persino bella.
Detto questo non ci resta che attendere il responso della giuria.
Sabato 8 maggio infatti sapremo se siamo tra i 20 finalisti che verranno proiettati domenica 9 nell’ambito del Festival e tra cui quella stessa sera saranno scelti i vincitori.
Per ora non posso dirvi nient’altro (i lavori sono blindati fino alla sera della premiazione) ma è ovvio che appena potrò vi linkerò il filmato. Vi anticipo solo questo, il sorteggio ci è stato relativamente benevolo: come genere ci è capitato fantascienza.
In bocca al lupo a noi!

martedì 20 aprile 2010

Il Bestiario è uscito!

Ciao a tutti, è con molto orgoglio che vi annuncio ufficialmente che “Bestiario Stravagante”, la mia raccolta di racconti horror, è ufficialmente disponibile. Come preannunciato potete acquistarlo in formato cartaceo dal sito di Damster e presto sarà disponibile anche su ibs, ma potete anche scaricarne la versione integrale gratuita dal mio sito internet personale da questa pagina.

Perché dovreste comprarlo se potete scaricarlo in versione integrale gratuita?
Non lo so… perché è un bell’oggetto?
Perché è più pratico da leggere?
Perché una parte del ricavato andrà in beneficenza?
Se trovate qualche buona ragione fatelo, altrimenti scaricatelo e leggetelo e basta. Prima di effettuare il download magari leggete la pagina a cui vi mando e troverete tanti modi di supportarmi in questa mia iniziativa con pochissimo sforzo e a zero spese: tutti infinitamente graditi.
Subito a seguito di questo post ce n’è un altro in cui raccoglierò i vostri commenti: lasciare un commento in quel post (o in questo, s’intende) è già un buon esempio di feedback molto gradito.
In più, chi ne avesse voglia può venire a vedere il reading di domenica 25 aprile in cui tre amici attori (Chiara Betelli, Enzo Francesca e Davide Cambi) leggeranno alcuni dei miei racconti.

L’appuntamento è alle ore 15 in fiera campionaria di Modena, area libri.
L’ingresso è gratuito.
Se volete il programma completo dell'area libri lo trovate qui.

sabato 27 marzo 2010

Valter Buio

DUE CHIACCHIERE PRELIMINARI: la Star Comics tra metà marzo e inizio aprile lancerà 3 titoli nuovi. "Valter Buio", "Factor V" e "Pinkerton". Rispettivamente: mensile 12 numeri, bimestrale 6 numeri, bimestrale 6 numeri. Inutile dire che non ho potuto (e non potrò) esimermi dall’acquistare (e commentare) almeno il primo numero di ciascuno. In generale ho apprezzato l’opera degli ultimi anni della Star Comics: mi piace il formato di 96 pagine stile Bonelli e mi piacciono le miniserie. Per quanto, vorrei dire anche questo, sebbene nessuna delle pubblicazioni che ho seguito (qualcuna per intero, qualcuna solo per un po’) mi hanno fatto gridare al genio, le ho quasi sempre lette con gusto. Disgraziatamente quella che mi stava piacendo di più (Trigger) è stata interrotta dopo quattro numeri (su sei), cosa che ho trovato piuttosto disdicevole. Ho letto un po’ in giro su internet di tutta la querelle sull’argomento, indipendentemente dalle colpe che non ho gli strumenti per attribuire, per quanto mi riguarda la cosa più importante è che sussiste la possibilità che Ade Capone riesca a fare uscire la fine della storia sotto un’altra casa editrice.

TRAMA: Valter Buio è uno psicanalista di fantasmi. Che cosa significa? Che da un lato è (o almeno si presume...) laureato in psichiatria e dall'altro ha la facoltà di vedere gli spiriti intrappolati nel nostro mondo. Sicché, grazie anche all’aiuto di un medium che li instrada verso di lui, ha deciso di aprire uno studio vero e proprio. Li ascolta raccontare i loro problemi, cerca di sciogliere il nodo che li affligge e va a farsi pagare dai suoi famigliari. Un po’ stiracchiata come spiegazione? Un po’, sì, se devo dirla tutta. Comunque. In questo primo numero assistiamo all’apertura dello studio (un barcone sul Tevere, siamo infatti a Roma), apprendiamo del suo sodalizio con la segretaria, della sua amicizia con lo spiantato Conte Balestra (il medium che gli procura i clienti), della sua turbolenta relazione con la ex-moglie, cominciamo ad apprendere del suo passato e vediamo apparire quello che sarà verosimilmente il “nemico” che farà da filo rosso per legare insieme tutta la miniserie. Intanto Valter risolve anche il suo primo caso.

COMMENTO: un altro pseudo-investigatore dell’occulto? Ma la Star non aveva già prodotto Rourke l’anno scorso? Non erano già sufficienti i cloni di Dylan Dog? Tutte domande legittime. Alessandro Bilotta tra l’altro, ho letto da qualche parte, di Dylan Dog ne ha anche sceneggiato qualcuno e gli echi di quel lavoro si sentono. Ad esempio un certo romanticismo fa capolino qua e là, dicendoci subito chiaramente che questa non è semplicemente una storia di morte ma di amore e morte. A voi decidere se il binomio è gradito, io dirò solo che fin qui non siamo scivolati nello stucchevole (attributo malefico che Dylan Dog, giusto per tornare al prototipo, non sempre ci risparmiava - almeno quando ancora lo leggevo). Ebbene, rimarcato che il filone è piuttosto inflazionato, Valter Buio ha qualche motivo di interesse? Tutto sommato sì, a mio parere. Questo numero 1 è piuttosto ricco e, a parte la psicanalisi in sé un po’ facilona, tratteggia un personaggio articolato, nonché di alcuni subplot e personaggi di contorno di cui immediatamente desideriamo sapere qualcosa di più. Insomma la sceneggiatura a mio parere più che discreta e l’idea di fondo sufficientemente bislacca, allontanano (per il momento) lo spettro della derivatività.
Detto questo, la madre di tutte le domande è: prenderò il numero due? Tutto sommato direi di sì.
Voto: 6.5.

domenica 21 marzo 2010

Il “Bestiario” ha trovato casa!

Saluti a tutti, è un po’ che mi covo dentro la notizia e non volevo divulgarla prima di esserne arcisicuro. La mia raccolta di racconti intitolata “Bestiario stravagante”, che da un annetto circa era in cerca di un editore, lo ha trovato. Si tratta di Damster, mio conterraneo modenese.

Ma facciamo un passo indietro. Innanzitutto che cos’è “Bestiario stravagante”?
E’ una raccolta di tredici racconti che alla larga potremmo definire di genere horror, frutto di una selezione tra le mie opere brevi degli ultimi quattro o cinque anni. Alcuni di questi racconti erano già stati pubblicati in altre antologie, ma la maggior parte sono inediti.
La raccolta è incentrata prettamente sulla figura del “mostro”. Alcuni di questi sono mostri “classici” (vampiri, licantropi, non morti etc.) riletti in una chiave originale (il vampiro, per dirne una, vende pannelli solari), altri sono invece del tutto inediti (un cassonetto della spazzatura, un burocrate con una gamba di marzapane, etc.). Alcuni racconti sono seri, altri spingono molto sul pedale del grottesco, fino a diventare chiaramente umoristici.
Quanto al risultato… beh questo dovete dirmelo voi. A me piacciono, ma ci mancherebbe solo che non piacessero nemmeno a me.
E il bello è che, tutti voi che leggete il mio blog (letteralmente torme, oserei dire), potrete farlo senza sforzarvi nemmeno più di tanto: infatti oltre al cartaceo in vendita su ibs, sul sito di Damster, alle presentazioni e in alcune librerie, il testo sarà anche distribuito gratuitamente come e-book in versione integrale. Il ibro è infatti rilasciato sotto licenza Creative Commons, e questo è anche il motivo per cui oltre a "scrittutra" questo post porta anche l'etichetta "contenuti liberi". A qusto scopo mi sto attrezando per affiancare a questo blog un sito vero e proprio. Non sono un’aquila in queste cose per cui potrà volerci un po’ di tempo e un certo sforzo, ma ce la farò.
So che l’idea di vendere il cartaceo e far scaricare gratuitamente l’e-book non ha l’aria di essere commercialmente vincente, ma il fatto essenzialmente è questo: per me è più importante che questo libro lo leggano in tanti, piuttosto che lo comprino in quattro gatti, e purtroppo con tutta la buona volontà di questo mondo la piccola e media editoria più contare su distribuzioni e visibilità alquanto limitate.
Un'altra caratteristica del progetto è questa: per ogni copia cartacea del libro venduta 1€ sarà devoluto al Centro Fauna Selvatica “Il Pettirosso” (www.centrofaunaselvatica.it) che si occupa di del recupero e della cura di animali selvatici feriti o in difficoltà.
Ultima cosa: l’immagine allegata al post è la splendida copertina che ha disegnato per me Elena Bertacchini, ispirandosi ad uno dei racconti della raccolta intitolato: “Vacche magre”.
A breve altri dettagli sull’argomento: stay tuned!

giovedì 18 marzo 2010

Historycast

PREMESSA: Con questo post voglio inaugurare una nuova sezione del mio blog, quello riguardante i “contenuti liberi”. Comincerò con il dire una cosa che nella rete potrà suonare impopolare: non amo la pirateria. Trovo fuorviante l’idea di accostarla ad un furto, tuttavia mi piace l’idea di utilizzare i prodotti dell’ingegno degli altri nei termini che l’autore considera “equi”. Se ritiene “equo” che io paghi un prezzo per la sua opera a me decidere se l’opera (o la mia curiosità) lo vale, se ritiene equo concedermene liberamente l’utilizzo totale o parziale mi pare una cosa interessante, degna di considerazione e, se di qualità, di diffusione.



LA RISORSA: Detto questo, che cos’è Historycast? Un sito internet (www.historycast.org) da cui è possibile scaricare una serie di brevi lezioni di storia (una mezz’ora circa ciascuna), tenute da Enrica Salvatori professore associato all’Università di Pisa. Le lezioni affrontano gli argomenti e i personaggi più vari, riguardanti la storia antica (i Vangeli Apocrifi, Giulio Cesare, gli Etruschi…), medievale (La peste, l’inquisizione, Ugolino della Gherardesca…) e contemporanea (la conquista dello spazio, Walt Disney, Darwin…) inframmezzate da stacchi musicali. A tutt’oggi sono scaricabili 22 lezioni su altrettanti argomenti diversi e molte altre risorse di approfondimento e bibliogrfia sono fruibili sul sito. Per ora io ho ascoltato le prime otto e le ho trovate tutte molto interessanti, ben curate e piacevoli da ascoltare. Specialmente, tutte mi hanno lasciato alla fine con la curiosità di approfondire ulteriormente l'argomento, anche quando in partenza non mi pareva poi così allettante: il chè mi sembra un gran bel risultato. Un’altra cosa che mi piace molto è l’approccio “problematico” alla storiografia. Raramente Enrica Salvatori ha la pretesa di dirci come stanno le cose, più spesso invece ci apre uno squarcio su come ogni argomento si presti a molteplici tesi e ci lasci alla fin fine con più domande che risposte. Bella forza, dirà qualcuno, lo studio della storia è così. Sì d’accordo però raramente te lo pongono in questo modo a livello divulgativo... insomma, per farla breve io vi consiglio di scaricare e ascoltare un paio di puntate poi sarete voi a decidere se merita oppure no.

martedì 16 marzo 2010

I danzatori di Noyo

SULLA COLLANA URANIA: ho un rapporto d’affetto molto particolare con i libri della collana Urania. Nella mia memoria sono legati principalmente a questo ricordo: la bancarella di libri usati che campeggiava tutte le estati nei pressi della pineta a Punta Marina, il luogo dove passavo le vacanze estive da bambino. Passavo un sacco di tempo a spulciare in mezzo a quei libri a metà prezzo, e finiva sempre che ne compravo qualcuno. Che poi regolarmente non leggevo. Ne avrò comprati almeno venti, non ne ho letti più di tre. Ma da questo punto di vita i miei occhi hanno sempre avuto più fame del mio stomaco di lettore. Questo “I danzatori di Noyo” l’ho recuperato a casa di mia madre, era uno di quelli che avevo comprato e mai letto. Conservo comunque un buon ricordo di quei pochi Urania che ho letto. Per quanto riguarda la fantascienza è la collana prototipo della letteratura di genere. Romanzi in genere brevi (d’altronde se ne dovevi comprare un altro due settimane dopo non potevano essere troppo lunghi) e autoconclusivi, ma specialmente storie che non avevano nessuna pretesa o desiderio di essere più di questo, uniti ad una qualità complessiva in genere dignitosa. Questo il mio ricordo, quantomeno.

TRAMA: La California, divenuta uno stato indipendente, è rimasta spopolata dopo un’epidemia di una misteriosa malattia chiamata osteo-liquoma. Sulla costa numerose comunità si sono organizzate in tribù governate in genere dai Mandarini, ex-hippy ora cinquantenni un po’ rincitrulliti dalle droghe e fanatici del ballo. Anzi, in realtà fanatici dell’idea che i giovani debbano ballare. Per questo ormai ogni comunità ha il suo Danzatore. Un androide clonato da un tale O’Hara a partire dalle cellule della bocca i un altro tale di nome Bennet. Il Danzatore ha un carattere psichedelico e dispotico è generalmente aiutato da un lacchè dalla coscienza chimica (un ex-criminale violento che grazie alle medicine riesce a contenere i suoi impulsi) ed è abbastanza chiaro che finirà per sterminare tutti coloro che ballano al suo cospetto. Sam Mac Gregor, giovane abitante della tribù di Noyo che ha studiato da stregone da Joe Pomo decide di ribellarsi e piuttosto che mettersi a ballare con gli altri decide intraprende il viaggio del Graal, da cui nessun giovane è mai tornato mentalmente sano.

COMMENTO: Questo libro di Margaret St. Clair ha trentacinque anni, e ahimè si vedono proprio tutti. Non si dice in che anni sia ambientato ma credo di possa ipotizzare tra gli anni 90 e l’inizio del nuovo millennio. Sia questo sia la tematica hippy, danno al tutto un sapore di involontaria ucronia, più che di fantascienza. Non mancano trovate abbastanza interessanti (la descrizione dell’epidemia, le esperienze di extravita, l’idea della coscienza chimica), ma sono spesso estemporanee, ossia senza nessuna reale funzione nella trama. Per quanto riguarda la trama, poste le basi che vi ho raccontato prima e che bene o male si mettono a fuoco nelle prime 10/20 pagine, tutto il resto è un continuo venire catturato e fuggire del protagonista prima da solo e poi con la figlia di O’Hara recuperata per strada in maniera più o meno casuale. Alla fin fine il risultato è una sorta di pastiche non molto riuscito di stampo avventuroso-magico-fantascientifico su cui aleggia per tutto il tempo lo spettro di Joe Pomo (il cui solo nome è una risata sicura…). Ma il peggio è che alla lunga è la noia a farla da padrona.

Voto: 5

sabato 6 marzo 2010

Il figlio più piccolo

DUE CHIACCHIERE PRELIMINARI: ho visto moltissimi film di Pupi Avati, di base li andrei a vedere tutti al cinema prescindere di cosa parlano, nei fatti delle volte l’ha vinta la pigrizia e magari li recupero anni dopo in video. Non sempre i suoi film mi convincono al 100%, però in generale li trovo sempre film interessanti. Innanzitutto, cosa che spesso si tende a dimenticare, Avati è uno dei pochi registi horror italiani degni di nota. Ne ha fatti quattro di horror (cinque contando anche “Balsamus l’uomo di Satana”, che però metto sub-judice perché non l’ho visto) e sono tutti e quattro meritevoli di essere. Un classico “La casa delle finestre che ridono”, belli sia “Zeder” sia il recente “Il nascondiglio” e un capolavoro “L’arcano incantatore”. Ma a parte questo, mi sono piaciuti moltissimo sia “Regalo di Natale” sia “La rivincita di Natale” in cui Avati ci regala un Gianni Cavina nei panni di uno dei personaggi più magistralmente schifosi della storia del cinema. Ma anche molti altri: specialmente un superclassico per me e i miei amici è: “La via degli angeli”.


TRAMA: Il film inizia con Luca Zingaretti (con dei riccioletti terrificanti appiccicati sulla testa…) che viene buttato fuori da un convento. Non capiamo esattamente perché, ma solo che i frati ritengono l’abbia fatta grossa: un qualche tipo di frode senza dubbio. Ce lo troviamo (pochi minuti dopo?) davanti a una chiesa di Bologna dove Laura Morante e Christian De Sica, che già hanno due figli, si stanno sposando. La cerimonia si conclude, Zingaretti carica De Sica per portarlo a Roma. E’ subito chiaro che non farà mai più ritorno. Passano una dozzina d’anni, Laura Morante vive ancora a Bologna con i due figli: il più grande – l’unica persona sensata di tutta la famiglia - che la mantiene, il più piccolo che si sta laureando al DAMS ad argomento cinematografico ed è decisamente un candido. Assieme a loro vive anche Sydne Rome con cui la Morante ha un allucinante gruppo musicale a sfondo buddista. Di lei capiamo anche che ha un passato (ma forse anche un presente) di malattia psichiatrica.
Zingaretti e De Sica hanno invece fondato un piccolo impero basato su frodi fiscali, scatole cinesi e ricatti contiguo ai salotti buoni della politica romana. De Sica ci mette la faccia, Zingaretti l’intelletto, altri - notai compiacenti, avvocatucoli da strapazzo, segretarie prestanome, amici di amici - danno una mano (o forse remano contro). C’è però un problema, la magistratura ha fiutato l’inghippo e il gruppo è sotto il martello della finanza: deve allo stato 55milioni di Euro per evasione fiscale, De Sica è stato anche intercettato mentre minaccia qualcuno. Ma niente paura: se la barca affonda è sufficiente reclutare il figlio più piccolo di De Sica ormai maggiorenne e cedergli tutte le attività.
Richiamato dalla sirena paterna, inconsapevole, il figlio accetta.

COMMENTO: Il film mi è piaciuto… abbastanza. Un po’ come in “La seconda notte di nozze” ad esempio, trovo che Pupi Avati qui spinga un po’ troppo il pedale del grottesco. La cosa in sé non mi dispiacerebbe, se non fosse che è un grottesco figlio di un abbruttimento dell’anima davvero straziante, eccessivo, finanche inverosimile nella stupidità di alcuni personaggi e nella mancanza di scrupoli di altri. Ma si sa, la realtà supera l’immaginazione sicché non dubito che cose come questa possano effettivamente accadere. Graffiante la descrizione dell’associazione a delinquere Zingaretti/De Sica: entrambi molto in parte. Addirittura ripugnante la figura di Laura Morante, che anche con tutti i suoi problemi non riesce a suscitare alcuna pietà. Le scene cult sono varie: il figlio più piccolo che manifesta al suo professore la volontà di scrivere la tesi di laurea su “Guinea Pig”, sempre lui in camera da letto con la segretaria del gruppo che ad un certo punto sembra destinato a sposare per salvare parte della baracca, De Sica che prima di imbarcare il figlio nella vicenda ha un sussulto di umanità e dice a sé stesso: “Che brutta merda che sono”. Non oso nemmeno immaginare che soddisfazione debba essere stata far recitare al malefico De Sica, che appesta tutti i Natali della nostra vita con i suoi filmazzi, suddetta battuta. Di certo ascoltarla in sala è stato piacevole. Complessivamente però il film mi ha lasciato comunque un vago retrogusto di incompiuto.
Voto: 6.5

domenica 21 febbraio 2010

SANREMO 2010

Sanremo è Sanremo, si suole dire.
Forti di questa tautologia si può legittimamente sostenere che qualsiasi cosa vada bene.
Per parte mia posso anche concordare. Non mi interessa chi vince, non mi aspetto che vinca la canzone che io trovo più bella, anzi non mi aspetto nemmeno che ci sia alcuna canzone che mi piaccia veramente. Guardo comunque assiduamente Sanremo con grande divertimento e un interesse essenzialmente antropologico: oserei quasi dire entomologico.
Sulla edizione appena conclusa si potrebbero dire molte cose: ora, partendo dal presupposto che Sanremo per me è una di quelle cose che per definizione non vanno mai prese eccessivamente sul serio, cercherò di tratteggiarne le linee essenziali (secondo la mia opinione, naturalmente).


Per prima cosa, la conduzione di Antonella Clerici. Confesso che al principio ero perplesso temevo che a lasciarla lì sola sul parco tutto il tempo alla lunga si sarebbe sentita un po’ la mancanza di una spalla. Invece la Clerici ha impresso alla trasmissione un ritmo serrato, puntando molto sulla musica e pochissimo sui siparietti. Scelta più che felice, solitamente le chiacchiere erano una cosa che mi rompeva mortalmente le palle, scoprire che dopotutto se ne poteva anche fare a meno è stato… liberatorio . Mi sbilancio nel dire che questo è verosimilmente stato uno dei motivi di successo dell’edizione. Voto: 7.
In secondo luogo gli ospiti: alti e bassi. Ho apprezzato la coreografia della Cuccarini, i ballerini di Michael Jackson, l’apertura il primo giorno di Bonolis e Laurenti. Terribili invece l’intervista alla regina Rania, i siparietti con Cassano e i tre tenori fanciulli (in particolare i tenorini che cantavano “O sole mio” a beneficio della regina di Giordania, sono stati da antologia del trash). Fuori contesto Maurizio Costanzo, sebbene apprezzabile l’intento. Nelle righe tutti gli altri, una nota di tenerezza per la comparsata geriatrica di Nilla Pizzi. Voto: 6.
I cantanti. Farò prima una disamina delle canzoni in ordine rigorosamente alfabetico, poi aggiungerò qualche altra considerazione a parte.
Arisa: “Sincerità” era una piacevole sciocchezzuola, di rifarla uguale non c’era bisogno. Voto: 5.5
Malika Ayane: Raffinata, il chè nove volte su dieci significa “noiosa”. Voto 5.5
Simone Cristicchi: Testo intelligente e divertente, musica scoppiettante. Geniale il finale. Voto: 8
Toto Cutugno: Di una canzone come questa dalle mie parti si dice che “fa venire gli sgrisori” ma il duetto con Belen Rodriguez è davvero troppo. Voto: 1
Nino D’Angelo: Essendo in dialetto non ci ho capito una cippa. Forse per questo, ascoltando solo la musica l’ho apprezzata. Voto: 6.5.
Irene Fornaciari feat. Nomadi: una lagna davvero infestante. Voto: 5
Irene Grandi: Irene ha verve, la canzone non è straordinaria, ma dopotutto siamo pur sempre a Sanremo… Voto: 7
Marco Mengoni: Sembrava la colonna sonora di un film di James Bond, anche il testo era meno banale della media. Per quanto non apprezzi troppo i suoi acuti lui ha comunque la stazza della star. Voto: 6.5
Fabrizio Moro: L’ho trovato un po’ imbolsito. Non è una cima, ma ci prova. La canone ha almeno un po’ di ritmo. Voto:6
Noemi: Bella la voce. Passabile la canzone. Voto: 6
Povia: Gli riconosco il coraggio di tentare di esprimere qualche idea. Per quanto possa dissentire dalla sostanza almeno non parla compulsivamente dell’ammmore. La canzone però è proprio brutta. Voto: 5
Pupo Emanuele Filiberto & Luca Canonici: Grotteschi. Voto:4
Enrico Ruggeri: Ha una bella voce e anche la canzone non è malaccio. Voto 6.5
Sonohra: Se questi sono i giovani dio ce ne scampi. Voto: 4.5
Valerio Scanu: Piatto, derivativo, indigeribile. Voto: 4
I giovani
: ho sentito solo quelli della prima serata e il vincitore. Non ce n’era uno che si avvicinasse alla sufficienza. Non stupisce che in altre edizioni abbiano vinto i Sonhora o Arisa. Al confronto sembrano dei geni. Voto collettivo: 4.
Ok, detto questo vorrei considerare quanto segue. Dopo che alla seconda sera la giuria demoscopica aveva cassato nell’ordine: Cutugno, Pupo & Co, Scanu, i Sonhora e Nino D’Angelo (ossia tutti quelli a cui ho dato i voti più bassi con l’eccezione di Nino D’Angelo che però aveva l’handicap di cantare in dialetto) dentro di me ho pensato che quest’Italia perennemente fanciulla poteva finalmente iniziare a intravedere la luce di un’età adulta. Avevo considerato affettuosamente il tramonto di un epoca in cui in nome della tautologia con cui ho iniziato l’articolo tutto era concesso, persino chiamare sul palco il ct della nazionale a sostegno della propria canzone.
Peccato che poi ci abbia pensato il televoto a smentirmi.
Ora, non me ne vogliano Pupo & Co, non ho proprio niente contro di loro: anzi ho vissuto con fastidio i fischi che ingenerosamente la platea gli ha tributato ancora prima che cantassero la loro canzone. Che dopotutto questo era, né più né meno: una canzone per quanto veramente brutta e incorniciata da un’operazione alla quale io mi sarei vergognato a prestarmi. Mi ero infatti anche spinto a dire: “Accipicchia ma a una persona come Emanuele Filiberto che comunque, insomma, bene o male ha sempre dimostrato un minimo di classe chi gliel’ha fatto fare di infilarsi in questa freakata?”
E invece non avevo capito un cazzo, come al solito.
Per non dire di Scanu: elettroencefalogramma piatto. L’impressione generale è stata che, data l’esposizione mediatica del personaggio, e specialmente la simbiosi tra l’utente medio di Amici e il suo telefonino cellulare questo tizio avrebbe potuto benissimo ruttare nel microfono che avrebbe vinto uguale. Me lo vedo dietro le quinte con il suo discografico che gli dice: “Guarda, ti do questo bigino facile facile. Devi solo fare quello che tutti si aspettano, cantare una canzoncina da triste barbogio e non puoi che vincere.”
Scanu, da buon soldato, va sul palco e obbedisce. Magari sarebbe pure bravo ma non ha occasione di dimostrarlo, magari sarebbe pure intelligente ma non dice una parola più del ovvio.
D’altronde questo è: la mediocrità non disturba nessuno.

sabato 20 febbraio 2010

L'eleganza del riccio


CHIACCHIERE PRELIMINARI: l’ultimo libro tra quelli che mi ha regalato mia madre per Natale, credo no sia mai accaduto nella mia vita che io abbia smaltito i libri che mi sono stati regalati così in fretta.

TRAMA: la portinaia di mezza età di un palazzo bene di Parigi ha per tutta la vita nascosto la sua grandissima cultura da autodidatta. La figlia dodicenne di un politico nasconde invece la sua fenomenale intelligenza e i suoi propositi incendiari e suicidi. Questo finché l’arrivo di un raffinato signore giapponese all’interno del palazzo cambia la vita di entrambe.

COMMENTO: un grande successo editoriale, recentemente anche trasposto in un film. Che dire… innanzitutto: mi è piaciuto? Ni. Diciamo questo, a mio parere “l’eleganza del riccio” affianca a momenti davvero interessanti e riusciti altri decisamente irritanti. Le considerazioni della ragazzina (i suoi “pensieri profondi” e il suo “diario del movimento del mondo”) sono quasi sempre ficcanti. La storia personale della nostra portinaia (la sua vedovanza, la sua amicizia con una delle domestiche del palazzo) e anche il personaggio di Ozu (il “raffinato signore giapponese”) sono azzeccate. Troppo spesso però interi capitoli si sostanziano in divagazioni su tematiche come “l’arte” oppure “la fenomenologia” oppure “le camelie” che io ho trovato quasi sempre barbose o stucchevoli o oscure o banali.
Comunque ad ogni buon conto i momenti interessanti l’avrebbero alla fine vinta su quelli irritanti se il finale non fosse francamente così sconfortante. L’impressione è che ad un certo punto l’autrice si senta in una sorta di vicolo cieco che la costringerà a scrivere almeno altre cento pagine di un romanzo che ha a quel punto già detto tutto quello che doveva, sicché ecco arrivare la catarsi posticcia. “E ora che si fa? Tiè, ecco che ci appiccichiamo questo il ché basterà a risolvere ogni cosa. Magari ci scappa pure la lacrimuccia.”
Eh no, mi spiace: troppo facile.
Voto: 5,5.

martedì 2 febbraio 2010

L’estate dei morti viventi

DUE CHIACCHIERE PRELIMINARI: Secondo libro che mi ha regalato mia madre per la befana, ora vado per “L’eleganza del riccio”… John Ajvide Lindquvist (l’autore) è lo stesso di “Lasciami entrare”, una storia di vampiri da cui hanno tratto l’omonimo film uscito all’inizio del 2009.

TRAMA: Il 14 di agosto di una torrida estate svedese un intenso campo elettromagnetico di origine sconosciuta cresce su Stoccolma chiudendola in una morsa. Gli elettrodomestici non si spengono, tutta gli abitanti sono in preda ad una fortissima emicrania. Quando il campo elettrico cessa, i morti iniziano a risorgere. Non tutti: solo quelli morti da meno di due mesi. Non sono aggressivi, semmai piuttosto spaesati. Parallelamente ci vengono narrate la storia di David, marito della donna che è rimasta morta per meno tempo che ha riguadagnato la facoltà di parlare. Di Gustav Mahler e sua figlia rapiscono dissotterrano il piccolo Elias (nipote e figlio rispettivamente) e lo portano in campagna nel tentativo di ristabilire con lui un contatto. Di Elvy e sua nipote Flora entrambe sensitive affrontano il l’avvenimento nel modo che pare loro più consono: chi ascoltando Marylin Manson, chi fondando una setta che predice la fine del mondo.


COMMENTO: “Un capolavoro” ci avverte Horace Engdahl, segretario permanente del comitato per il premio Nobel dalla quarta di copertina. Nientemeno. Bah, sarà.
Ora, questo libro ha delle qualità, lungi da me dire il contrario.
Una scrittura assai fluida e piacevole, una certa originalità nel trattare l’argomento zombi, alcune scelte indubbiamente efficaci, tre o quattro scene che mi sono rimaste davvero bene impresse nella mente. Però ci andrei piano a scomodare il termine capolavoro. Su anobii gli ho dato tre stelle su cinque, ciò significa che complessivamente non l’ho valutato in maniera negativa, anzi complessivamente la lettura ha avuto una sua piacevolezza.
Però inutile negare che complessivamente sono rimasto abbastanza deluso, forse anche perchè mi aspettavo abbastanza.
Vediamo le motivazioni.
Cominciamo con il dire questo. Un campo magnetico fa venire il mal di testa a tutta Stoccolma poi i morti risorgono: una cosa grossa, verrebbe da dire. Gli svedesi, popolo notoriamente flemmatico, la prendono con filosofia. Fondamentalmente pare che la cosa non interessi poi granché a nessuno, tempo due giorni e hanno cominciato già gli spettacoli di cabaret a sfondo “morti viventi”. L’opposizione ne approfitta per attaccare la politica del governo. Il ministero della sanità li riunisce tutti insieme per studiare un improbabile programma di riabilitazione a fini di reinserimento.
Nipote e nonna sensitiva sentono uno strano vento e poi si guardano l’una con l’altra “Erano le anime dei morti” dice l’una “Si anche secondo me.” Risponde l’altra. O suppergiù. Dieci minuti dopo in casa si trovano di fronte al nonno morto che si mette a scartabellare negli archivi di casa (in cerca del suo certificato di morte, forse?). Chiamano l’ambulanza, la ragazzina dice: “Vabbè dai nonna io vado a casa” (abita dall’altra parte della città). “Fa attenzione.” Risponde la nonna.
Popolo flemmastico questi svedesi, come dicevo.
Avrei potuto pensare che questa fosse una metafora del fatto che noi vivi siamo in realtà ormai talmente anestetizzati che siamo morti quanto i morti, che siamo in grado di digerire con indifferenza anche la più pazzesca assurdità. L’avrei anche apprezzato. Però ci sono numerosi dettagli che stridono con questa lettura. Innanzitutto perché per rendere questo contrasto l’espediente necessario sarebbe stato quello di contrapporre alla resurrezione dei morti una realtà assolutamente “illuminista”. Io l’avrei immaginato così: su quella realtà giunge come un maglio la resurrezione dei morti viventi e ci aspetteremmo panico in ogni strada… e invece niente. Eccoci a scoprire che in realtà la secolarizzazione della nostra società è acefala, indifferente ad ogni teoria, prescinde da qualunque considerazione spirituale. I morti risorgono? Vabbè, se risorgono risorgono. Cancelliamo la riga di registro che dice “I morti restano morti” e scriviamo “I morti a volte risorgono” e poi continuiamo la nostra vita indifferenti ai significati, alle implicazioni. Sarebbe stata una bella idea, o comunque se non altro un’idea discretamente succosa, graffiante. Ma l’impressione non è quella.
A questo proposito mi sono chiesto per tutto il libro: che ci fanno le sensitive in questa storia? Perché l’autore deve avere avuto una buona ragione per mettercele, visto che la loro sola presenza per me rischia di rovinare tutto. Una ad un certo punto vede la vergine Maria, poi di sensitivo ne salta fuori pure un terzo. E alla fine la verità è che se ne faceva perfettamente a meno. Tutto quello che aggiungono alla storia si potrebbe bellamente ignorare oppure l’autore ci potrebbe trasferire le informazioni in maniera differente. Questo dettaglio più di tutti gli altri mi fa pensare che il messaggio del libro sia un altro.
Dirci che i morti stanno bene morti, e non è il caso che risorgano zombi perché poi non sono più quelli di una volta, sporcano, puzzano e danno luogo ad altre manifestazioni politicamente poco corrette.
Grazie al cazzo, con licenza parlando.
Non da ultimo, attendiamo per tutto il tempo che la storia arrivi a una qualche sorta di risoluzione, che i destini dei protagonisti magari si incrocino, o quantomeno che vivaddio sti tristi e barbosi zombi si prendano almeno la briga di mangiare qualcuno.
Niente da fare.
Un finalino alla camomilla, irrisolto e aperto ad una prospettiva questa sì agghiacciante: un seguito.