mercoledì 28 dicembre 2011

"Le sorgenti del Dumrak" è in stampa!

Siore e siori, la notizia che sono ad ammannirvi è storica, almeno per me.
Ve l’avevo anticipato già nel post di riapertura del blog a inizio ottobre, ma pareva una cosa lontana, giugno 2012, forse settembre… e ben si sa che i tempi editoriali sono sempre soggetti a slittamenti. Invece, sorpresa delle sorprese questa volta c’è stato un anticipo. Il primo libro della saga di Finisterra (di cui vi esorto ad andare a dare un’occhiata al blog se ancora non lo avete mai fatto) che si chiama come detto “Le sorgenti del Dumrak” ed è scritto a dieci mani con i quattro miei colleghi del laboratorio di scrittura Xomegap, uscirà all’inizio di febbraio e lo presenteremo in anteprima al BUK, la fiera della piccola e media editoria che si svolgerà a Modena.
Ho aspettato a parlarne qui perché fino a prima di Natale abbiamo tenuto la novità “coperta”, ma un altro dei motivi di ulteriore rallentamento ci questo mio diario è stato ovviamente anche il febbrile lavoro di messa a punto finale del testo e tutti gli annessi e i connessi (tutte miserabili scuse naturalmente…).
Che altro dire? Nulla di particolare, rimirate magnifica la copertina qui sotto e correte a leggere tutto il blog, sono già disponibili prologo e primo capitolo (in una versione semi-definitiva), nonché una parte del setup del mondo che abbiamo messo on-line nel corso degli ultimi due anni. Eh sì, perché sono almeno tre che ci lavoriamo alacremente e oltre a quello che si vedrà nel testo c’è molto molto lavoro in più che non arriverà mai alla luce. Come ogni volta che si crea un mondo fatto per bene, naturalmente. E in questo Finisterra ci lascia molto soddisfatti.


Inutile dire che siamo molto felici che questa nostra opera veda la luce anche perché siamo già sotto contratto per il secondo e il terzo volume, da far uscire nel 2013 e nel 2014 rispettivamente. Il secondo peraltro è sostanzialmente già scritto e in questi giorni in fase di editing. Un altro motivo del rallentamento di questo blog (altre miserabili scuse…).
Nota a margine, dovevamo cambiare anche nome al laboratorio, siamo stati sull’orlo di farlo ma poi ci abbiamo ripensato. Siamo nati e restiamo Xomagap, almeno per ora. Comunque sia a scanso di equivoci il libro è firmato coi nomi dei singoli autori.
Buona lettura! (del blog, per ora…)

venerdì 16 dicembre 2011

1921 - Il mistero di Rookford

Florence Cathcart è una donna indipendente, di carattere e rigidamente scientista. Di mestiere smaschera truffatori dell’occulto e non gliene sfugge uno, finché non viene invitata ad indagare sulla morte di un bambino nel collegio di Rookford…



Cominciamo col dire questo: il mistero di Rookford è un film che ha classe. E’ un film molto europeo, molto inglese per la precisione – e in effetti non ho potuto fare a meno di notare che è prodotto dalla BBC.
Ora, io non sono certo uno di quelli che “ah! i film inglesi” (o francesi, per dire) e “Che schifo” quelli americani, ci mancherebbe. Né che dice che i film hollywoodiani siano incapaci di classe o altre simili sciocchezze. Comunque il fatto resta, il mistero di Rookford è un film di classe e io per questo l’ho apprezzato. Si prende il tempo giusto per dare alla storia uno straccio ci collocazione temporale, per dirci qualcosa dei personaggi senza sbattercelo troppo in faccia o tagliarli con l’accetta. Ha due protagonisti belli senza essere troppo levigati e belli (per indole mi riferisco più alla protagonista femminile, ma penso che la cosa possa valere anche per quello maschile, le fanciulle nel caso mi contraddiranno nel caso abbia torto…), ha la giusta dose di paesaggi lividi, di lentezze, di atmosfera.
Se dovessi fare un paio di parallelismi, “The Others” e “The Orphanage” sono certamente i suoi riferimenti più robusti. E questo è anche uno dei due limiti del film, quello di faticare un po’, nonostante molti apprezzabili sforzi, ad uscire dal clichè. Il secondo limite invece è che secondo me ha uno script e uno sviluppo più che buono, ma diventa un po’ anticlimatico quando è ora di tirare le somme. Badate, tutto si spiega, tutto torna, tutto ha una sua ragione ragionevole (nella logica di un film di fantasmi…) assai più solida che in altri film: non rimarrete delusi da una soluzione vaccata, anche la soluzione ha la sua dose di classe.
Però. Però come dicevo tutto questo ha un risvolto anticlimatico, e forse il punto è proprio questa necessità di spiegare per bene tutto con troppa pedanteria: la sensazione è che bisognasse trovare un modo per chiudere la storia con dieci minuti in meno di film e assumersi anche il rischio che non tutti gli spettatori capissero proprio tutto per bene. Un po’ come ne “Il sesto senso” (altro riferimento non peregrino) in cui quando si scopre il colpo di scena tutto accade in pochissimi minuti, senza diluirsi in troppi spiegoni.
Detto questo resta comunque un buon film, con diverse soluzioni davvero interessanti. Specialmente la casa di bambola che si trova all’ultimo piano della del collegio e che rappresenta la villa stessa e quel che dentro vi succede, per me è strepitosa.

Voto: 7+

giovedì 3 novembre 2011

Roberto Cacciapaglia - Ten Directions

Ho pensato di ritardare di qualche giorno la recensione di Ergo Proxy, così nel frattempo mi vedo anche la terza puntata e ho l’occasione di farmi un’idea più precisa (la prima puntata mi era piaciuta un sacco, la secondo un po’ meno…), quest’oggi invece due parole su un’altra delle mie ultime passioni musicali: Roberto Cacciapaglia. Avevo già pubblicato qualche tempo fa un video di “Lux libera nos”, di cui mi piaceva moltissimo oltre alla musica anche il soggetto fantasy. Mi ero fatto l’idea che Roberto Cacciapaglia fosse un giovane compositore che si rifaceva a gruppi classic/pop tipo gli Era o i Deep Forest (rispettabilissimi ma che trovo alla lunga un po’ stucchevoli). Niente di più falso. Cacciapaglia da sulla sessantina, e il suo primo album è del 1975, ha scritto opere e numerose sue composizioni sono state usate per spot televisivi. Insomma è una di quelle persone di cui senza saperlo probabilmente conoscete tutti un sacco di musica. Tra l’altro, quando ancora non avevo chiarito a me stesso il malinteso, cercando altri video ho scoperto che quello di “Lux libera nos” non era un video originale, bensì un assemblaggio amatoriale di pezzi di pubblicità di una marca di prodotti tricologici. Mi sono cadute le braccia, ma comunque devo dire che il tizio che ha fatto il montaggio ha fatto davvero un buon lavoro. In ogni caso, venendo al punto, ho deciso di procacciarmi l’ultima fatica del Cacciapaglia: “Ten Directions”. E’ un paio di mesi che lo ascolto a fasi alterne. Specialmente è stato un po’ la colonna sonora delle mie vacanze in Val Maira, una valle incantata del cuneese di cui prima o poi forse troverò tempo e modo di parlarvi. Se ne parlo ora è perché domani prossimo il nostro è a Modena, in un concerto gratuito al forum Monzani. Io ci vado naturalmente, chissà magari qualcuno della zona che legge decide di venirci.


Innanzitutto e per capire di cosa stiamo parlano: Roberto Cacciapaglia è un pianista, siamo dalle parti di Ludovico Einaudi per capirci (cioè, sempre che questo vi aiuti a capire, s’intende…).“Ten Directions” significa “In tutte le direzioni”, le otto direzioni della bussola più alto e basso. Luoghi emozionali più che fisici, come si legge dalla presentazione dell’opera. E in effetti essa attraversa quasi tutto lo spettro delle sfumature emozionali, con forse la sola eccezione della rabbia. Il pianoforte di Cacciapaglia, aiutato principalmente da archi, voci femminili e qualche brivido elettrico ci porta a spasso principalmente per luoghi spaziosi e celestiali, a volte malinconici o drammatici, ma più spesso ricchi si sentimenti positivi. Tutte e dodici le composizioni sono ben caratterizzate da un tema forte e inconfondibile, melodici senza essere zuccherosi, immediati senza essere banali, pieni di idee ma senza concessioni al virtuosismo fine a sé stesso. C’è spazio per concessioni al pop, come in “Times”, che ricorda Rondò Veneziano. C’è l’accostamento di sacro e profano in “Handel Hendrix House” che fonde classica e rock. In “Double Vision” predomina il pathos. In “Luminous night” la malinconia, in “Home” la dolcezza. Ma non sono nemmeno i miei preferiti, o meglio i miei preferiti cambiano ad ogni ascolto, a seconda di quelli ai quali pongo più attenzione. Insomma un album davvero perfetto a cui tutti dovrebbero dare almeno un ascolto.

Voto: 9

martedì 18 ottobre 2011

Hotel


C’è una ragazza che inizia un nuovo lavoro in un hotel, al posto di una scomparsa. C’è un ragazzo che le fa il filo e molti colleghi scostanti. C’è un corridoio buio che non si sa dove finisca. C’è un bosco, la grotta di una strega e una bambola che la rappresenta. C’è un ciondolo che forse è un amuleto.
Ci fosse anche una storia saremmo a posto. E invece…
Ricordo le poche cene inquietanti del trailer di questo film austriaco, passato in sordina per in nostri cinema cinque o sei anni fa. Al tempo non posso dire di “essermelo perso”, ma di certo aveva suscitato la mia curiosità. In questo periodo gira per Rai Movie, spesso ad orari assurdi, mi pare che lo trasmettano di nuovo fra qualche giorno.
Che dire? Un film rarefatto. Pochi dialoghi, nessuna colonna sonora a parte i pochi passaggi di assordante techno nelle scene che si svolgono in qualche locale. Il film dura settantacinque minuti in tutto, ma dopo trenta se siete un po’ stanchi o poco motivati rischiate già che vi cali la palpebra. Io di film poco dinamici, specialmente in campo horror, me ne sono sciroppati la mia parte e se il film è fatto bene la cosa non mi disturba, anzi mi può anche piacere. Anche il fatto che la messa in scena sia scarna in sé non mi disturba, ma il problema è che qui è tutto così ridotto all’osso da rischiare la monodimensionalità dei personaggi e la mancanza di chiarezza. Non solo nelle motivazioni, che ci potrebbe anche stare, ma anche ad esempio della scansione temporale e questo è male.
Ciò detto “Hotel” non è proprio tutto da buttare via, l’impressione è che non mancasse poi così’ tanto per fare un film molto migliore di questo. Bastava arricchire un po’, disseminare le scene di significati che aiutassero lo spettatore a cucirle insieme in una storia vera e propria.

Voto: 5

martedì 11 ottobre 2011

My Dying Bride – For lies I sire

Ho conosciuto i “My Dying Bride” a supporto degli Iron Maiden al palazzetto dello sport di Modena nel lontano 1995. Per loro era il tour di “The angel and the dark river”. Ricordo che questa band in cui suonava un violino mi colpì ma al tempo avevo occhi solo per gli Iron per cui in fin dei conti non ci badai più che tanto.

Un paio di anni dopo acquistai “Like Gods of the Sun”, leggendo una recensione sul Metal Hammer. Onestamente non avevo nemmeno realizzato che fosse la stessa band, il collegamento lo feci solo dopo, quando ascoltai il cd per la prima volta.
Ah… i tempi eroici in cui non c’era youtube e compravi i cd senza averne mai sentito neppure una nota, così - come dire - a cazzo di cane. Che nostalgia!
Comunque “Like gods of the sun” per me è stato un cd importante, che ho ascoltato e riascoltato mille volte. Un romanzo incompiuto che ho scritto a cavallo del ’98/’99 portava il suo nome (“Come dei del sole”), e non parlo di un incompiuto da dieci o venti pagine, ma di un incompiuto da almeno 150 A4. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia, che meriterebbe un post a sé stante (o anche no…).
Eppure, devo però dire, i My Dying Bride non sono mai diventati uno dei miei “gruppi preferiti”, li ho seguiti per qualche anno, recuperando “The angel and the dark river”, (un cd sicuramente valevole, forse anche meglio di “Like Gods of the sun”…), e poi proseguendo con “34,788%...complete” un cd con qualche spunto interessante ma tragicamente privo di violino.

Li avevo poi lasciati nel 1999 dopo “The light at the end of the world”, un cd che ho trovato davvero indigesto. Pezzi interminabili, chitarre ipertaglienti, ritmiche iperpesanti, voce costantemente abbruttita verso il black: anni luce distante dalla dolcezza decadente di “Like gods of the sun”, “The light at the end of the world” decisamente non era il mio cd. Forse stavo anche cominciando ad averne le palle piene di un certo modo di fare musica, gli addetti ai lavori non lo avevano giudicato brutto… chissà!
Ad ogni buon conto, pensavo che il capitolo “My dying bride” nella mia vita fosse chiuso per sempre. Cioè, lo pensavo davvero? Beh, non è che proprio ci pensassi… anzi a dire il vero proprio non ci pensavo proprio più, poi qualche tempo fa ho tirato fuori dalla mia collezione di cd “Like Gods of the sun” e l’ho messo sul piatto. Saranno stati, che so, cinque anni che non lo ascoltavo più… forse dieci che non ascoltavo qualche pezzo con un minimo di attenzione. Non posso dire che mi piaccia ancora come allora, però di certo ha delle qualità. A tanti anni di distanza la cosa che tollero peggio sono queste chitarre così terribilmente ruvide. Però, ho pensato, chissà: magari anche loro in dieci anni hanno pensato che ammorbidire il suono solo un poco non fosse un delitto. Ho deciso di fare una ricerca sui loro cd più recenti ed ecco qui, mi sono procurato la loro penultima fatica: “For lies I sire” del 2009, dieci anni precisi dopo “The light at the end of the world”: una vita (anche due per quanto mi riguarda…). Avevo anche pensato di sfidare “Envinta”, l’opera che hanno dato alle stampe nel 2011, ma l’idea del triplo cd mi ha scoraggiato. Cd triplo uguale potenziale tripla rottura di cazzo, e/o due cd che non andranno mai (e dico MAI) sul piatto.

Bene, a questo punto che dire del cd in sé? Che effettivamente, dal mio punto di vista è stata una scommessa vinta. I My dying bride sono tornati a cantare con voce pulita (almeno nella maggior parte dei casi), hanno messo la voce più in primo piano, nascosto un po’ quel suono di chitarra lacerante che mi disturbava, rimesso in line-up un violino. Inoltre, cosa forse più importante hanno trovato un giusto equilibrio emozionale, se la dolcezza che traluceva a tratti da “Like Gods of the sun” aveva sempre in sé qualcosa di freddo, o al contrario di melodrammatico (a volte paradossalmente anche le due cose allo stesso tempo), quella di “For lies I sire” non ha paura di mostrarsi e al contempo ha il pudore di non eccedere. Al servizio di questo sentimento c’è una musica essenziale ma mai banale, a riprova del fatto che non è necessario eccedere in virtuosismo per scrivere dei bei pezzi o quantomeno va messo al servizio della partitura (cosa un po’ vera in tutte le arti). E in ultima analisi tant’è, che le partiture di questo “For lies I sire” a me sono piaciute, quasi sempre e a tratti anche molto. Di più, certamente nei pezzi dispari che in quelli pari. C’è infatti in tutto il cd questo andamento un po’ a soffietto, pezzo dolce/pezzo ruvido che solo nell’ultimo – il nono - tenta un po’ una sintesi.
Ciò detto “For lies I sire” è anche un disco complesso, da ascoltare e riascoltare più volte, io l’ho sentito solo tre o quattro, al momento, e ho l’impressione che ascoltandoli di più anche di altri pezzi potrò scoprire la bellezza, probabilmente anche tutti, ma al momento “My body, a funeral” e “Echoes of a hollow soul” sono i miei preferiti in assoluto, due gemme gotiche assolutamente da ascoltare.

Voto: 8

venerdì 20 maggio 2011

Una gragnuola di novità

Eccomi qui! Volevo mettere questo post già lunedì o martedì scorso, ma ahimè sono stato io stesso travolto dalla enorme quantità di novità di cui sto per mettervi a parte. Specialmente l’ultima di cui vi parlerò mi ha portato via moltissimo tempo ed energia in queste ultime due settimane.
Innanzitutto, domenica 8 maggio sera c’è stata la premiazione dei “4 giorni corti” di cui il cortometraggio di cui io ero co-sceneggiatore (oltre che comparsa…) era uno dei venti finalisti. C’erano vari premi in palio: primo, secondo e terzo premio della giuria, premio per la valorizzazione di Nonantola, premio assegnato dalle troupe, premio del pubblico. Ahimè il nostro corto non si è aggiudicato nessuno di questi, ma pazienza… già essere arrivati in finale per la nostra squadra è stata una grande soddisfazione! Volevo anche fare una precisazione, la mia memoria aveva trasfigurato una po’ la portata dell’evento quanto a numero di spettatori. Avevo parlato di due o tre migliaia, in realtà facendo un conto a spanne saremo stati un migliaio, che comunque non sono pochi.
Comunque ora il nostro corto è su youtube, per cui potete valutare voi stessi la profonda immensità delle nostra opera!

Seconda novità: il mio racconto breve intitolato “Maschere” è stato selezionato per l’antologia “La paura fa 90” promosso dal sito Bravi Autori che è già ora disponibile su il mio libro. Una pubblicazione è sempre una gran bella soddisfazione. E lo è due volte se, come in questo caso ti trovi al fianco di Danilo Arona, di cui ho molto apprezzato "Cronache di Bassavilla" pubblicato qualche anno fa con Dario Flaccovio Editore.


Terza novità: il racconto che ho scritto per la selezione “Discronia” delle Edizioni XII non è andato in finale. Peccato! In bocca al lupo ai selezionati, tra un po’ si saprà anche a chi andrà il posto nell’antologia. Ma quanto al mio racconto, niente paura, non erano passate nemmeno ventiquattro ore dalla sua bocciatura che già aveva trovato una sua collocazione in Bitmetrics, la casa editrice che ha prodotto la versione xbook per iPad del mio “Il pozzo”. Per la cronaca il racconto si chiama “Il primo Carnevale” e quando saremo più vicini alla sua pubblicazione (magari fra sei mesi, intendiamoci) vi dirò qualcosa in più sulla storia che contiene.
Quarta novità: non ricordo nemmeno se in questo blog ne avevo parlato ma questa primavera insieme agli altri ragazzi del laboratorio Xomegap abbiamo tenuto il nostri primo corso di scrittura. Si è svolto a Modena nell’ambito dell’associazione “Lo sguardo dell’altro”. Mercoledì scorso si è svolta l’ultima lezione del corso e i nostri alunni ci hanno consegnato i loro elaborati finali (racconti a genere libero) che siamo intenzionati a raccogliere in un e-book che metteremo on-line nella seconda metà di giugno. Il corso è andato molto bene, è stata una gran bella esperienza che ci ha fatto crescere molto sia a livello umano che come scrittori. In autunno si replica!
Quinta novità: notizia di oggi stesso, il mio amato Bestaiario è stato accettato nel progetto “Parole doc” patrocinato da Coop estense. Che cosa significa? Che andrà in bell’espositore in un paio di ipermercati della provincia per tre mesi. Potrà sembrarvi una stupidaggine o una location non entusiasmante, ma rispetto alla diffusione cartacea di un’opera come il Bestiario questo gli darà un surplus di vendite e di visibilità notevole. Dovrebbe essere già ora disponibile, oggi mentre torno a casa dal lavoro vado a controllare.
Sesta novità: è quella grossa a cui vi accennavo nello scorso post… quella avvolta da un certo grado di segreto. Come forse sapete il progetto più importante di Xomegap negli ultimi anni è stata una trilogia fantasy denominata Finisterra. Ebbene una casa editrice che ha letto il testo lo ha trovato “interessante”, ed ecco quindi il motivo della mia latitanza di questi giorni. Stiamo rivedendo il tetso a rotta di collo per darlo entro maggio a questa casa editrice in seconda lettura. Se volete qualche informazione la trovate sul blog del progetto!

sabato 7 maggio 2011

In finale!

L’ultimo post di questo blog risaliva al 27 aprile dieci giorni fa: sono stati assai lunghi, intensi e pieni di novità. Della maggior parte di esse vi parlerò in un post all’inizio della prossima settimana (tutte tranne una, la più grossa, sulla quale vige al momento un regime di segretezza…), ma ora voglio spartire immediatamente questa notizia: finchè è fresca, finchè è al suo apice. Anche quest’anno assieme allo stesso (più o meno) gruppo di amici dell’anno scorso abbiamo partecipato ai “4 giorni corti” del Nonantola film festival. Mercoledì 27 aprile ci hanno affibbiato un genere (“Supereroi”), una frase (“Devono essere almeno cento”), un oggetto di scena (un vocabolario), un oggetto di abbigliamento (una coccarda) e una location (l’unica cosa nota fin da subito: Nonantola) e poi niente… un augurio, una stretta di mano e un “ci vediamo entro domenica a mezzanotte”. 4 giorni per produrre un corto di massimo 4 minuti.

Proprio come l’anno scorso sono stati giorni di attività frenetica, notti in bianco, tensioni, scazzi, entusiasmo e grande divertimento. L’anno scorso il nostro lavoro aveva prodotto “Amygdala” un corto fantascientifico invero un po’ ermetico. Quest’anno abbiamo cambiato completamente registro e… i selezionatori hanno apprezzato. Le troupe iscritte erano più di cento, i finalisti selezionati venti e… CI SIAMO ANCHE NOI!
Che dire… niente. Anche perché il filmato non può avere divulgazione prima della finale e per stare nel sicuro di non smaronare non vi dico nemmeno come si intitola né di che parla, appena potremo lo posteremo su youtube e lo linkerò qui. Nel frattempo però vi invito tutti a Nonantola domani sera alle 21 quando sarà proiettato insieme a tutti gli altri finalisti, luogo in cui anche saranno designati i primi tre premi (1000, 500 e 250 € rispettivamente, mica bruscolini!) e varie altre menzioni speciali. Mi raccomando! Non è mica una cosa trista con quattro gatti spocchiosi, che discutono della proiezione di un film di Fassbinder in francese sottotitolato in tedesco, è un evento a cui partecipano migliaia di persone! Beh magari due o tre, di migliaia… che comunque è il minimo sindacale per parlarne al plurale...
Ultima nota, di questa stupefacente opera io sono stato ovviamente sceneggiatore (anzi il co-sceneggiatore, insieme alla mia amica Sara di Xomegap), nonché – e questa è paura vera – anche attore.
Potete perdervi tutto questo?
Secondo me no!

mercoledì 27 aprile 2011

L’uomo nero e la bicicletta blu


Sono un grande fan di Eraldo Baldini.
E’ l’unico autore di cui mi fiondo letteralmente ad acquistare ogni nuova opera - oltre a Martin, almeno per quel che riguarda le “Cronache del ghiaccio e del fuoco”.
Un giorno di questi, quando avrò tempo (leggasi “mai”) mi piacerebbe scrivere un ampio articolo monografico sull’opera di Baldini. Credo sia l’unico autore di cui ho letto praticamente tutto. Non tutto mi è piaciuto da matti, ma la maggior parte dei libri sì. Comunque per farvi un’idea di come è andata con questo libro vi faccio un piccolo calendario. Tenete conto che di solito il tempo morto tra l’acquisizione dell’informazione riguardo ad un libro, l’acquisto e la lettura per me varia dai sei mesi ad un anno e spesso non si concretizza proprio mai.
Venerdì 8 aprile ho scoperto che usciva il suo nuovo libro.
Sabato 9 l’ho comprato e messo sul mio comodino.
Domenica 10 Simona me lo ha requisito (lo aveva pagato lei…).
Domenica 17 lo ha finito e me lo ha restituito
Lunedì 18 l’ho cominciato.
Ieri l’ho finito.
Per un libro acquistato da venti giorni essere già stato letto due volte non è male!

TRAMA: Siamo nel 1963 in un’Italia post-bellica che sta per entrare nel boom economico. Gigi ha dieci anni e vive a Bagnago un paesino del ravennate e il suo sogno più grande è comprare una bicicletta che ha visto in una vetrina del paese. Però costa 20.000 lire, un’enormità per la sua famiglia economicamente disastrata. Si mette allora alacremente al lavoro per racimolare questa ragguardevole somma. Intanto con il nuovo anno si trasferisce nella sua classe una bambina, Allegra, con la quale Gigi stringe progressivamente una tenera amicizia.

RECENSIONE: per la seconda volta consecutiva Baldini ci porta con i suoi libri in un contesto rurale degli anni ’60, verosimilmente quelli (trasfigurati) della sua infanzia: in un’Italia a cavallo del boom economico che non ha ancora perso la sua innocenza.
Si tratta però di un’innocenza feroce.
“L’uomo nero e la bicicletta blu” non è un horror, non ha proprio niente dell’horror. E’ un romanzo di formazione. Eppure è un libro di Baldini al cento per cento. Lo sguardo dell’antropologo fotografa una galleria di personaggi indimenticabili con un tono di elegia comica che scivola a poco a poco nel dramma. Lo fa con gli occhi fanciulleschi del suo protagonista e con un linguaggio in apparenza semplice (ma in realtà affilatissimo) che ti precipita a rotta di collo giù per la pagine senza mai un dubbio di significato.
Sì perché leggere i libri di Baldini è anche un piacere “estetico”: non c’è mai un aggettivo più del necessario, mai un’espressione eccessivamente ricercata e al contempo mai alcuna banale. Chi come me scrive (o ci prova) sa quanto sia stretta questa strada e quanto difficile restare al suo interno tutto il tempo.
Che altro dire? Che “L’uomo nero e la bicicletta blu” è uno di quei libri che vorrei poter dire di avere scritto io. Visto che non è così mi tolgo almeno lo sfizio di consigliarlo a tutti.
Voto: 9.

lunedì 18 aprile 2011

Un anno di "Bestiario Stravagante". Ovvero: riflessioni sulla pubblicazione a uso di scrittori esordienti ed emergenti

Grossomodo un anno fa usciva il mio primo libro, la raccolta di racconti intitolata “Bestiario Stravagante” di cui, se passate ogni tanto di qua, di certo avrete sentito parlare a volontà. Avevo promesso che allo scadere dell’anno avrei fatto un po’ il punto della situazione e il momento è giunto.
Comincerò con una riflessione. Non sono un neofita assoluto della pubblicazione, oltre ad avere già pubblicato qualche racconto in antologie di autori vari (vedi colonna a fianco…), con il laboratorio di scrittura Xomegap avevamo già dato alle stampe due antologie cartacee delle quali abbiamo poi anche curato la promozione.
Sono state esperienze piacevoli (anche perché condotte con un gruppo di amici) e soprattutto formative. Da queste esperienze sono uscito con una convinzione, che pubblicare qualcosa in Italia non sia poi straordinariamente difficile, il punto è che pubblicando (come spesso accade) con una piccola casa editrice il tuo libro va in stampa ma poi nessuno lo compra, e quel che è anche peggio, nessuno lo legge.
E dopotutto, perché dovrebbero? Con tutto quel ben di Dio che si trova in libreria, a bocce ferme non c’è nessuna buona ragione per cui una persona preferisca il tuo libro a mille altri: tanto più che spesso e volentieri nemmeno sa che esiste visto che non è in libreria. Poi, se per caso viene a conoscenza della sua esistenza può decidere di comprarlo su ibs, al che ci mette tre settimane ad arrivare (disincentivante al massimo…): per di più col ricarico delle spese di spedizione e il costo alto delle basse tirature.
Sia chiaro, questa non è una critica alla piccole case editrici, tra le quali ve ne sono parecchie che lavorano dignitosamente, onestamente e con il giusto entusiasmo. Il punto è che, semplicemente, fanno quello che possono.
E quindi che fare? Se non peschi il jolly con una casa editrice che ti riesce a supportare adeguatamente (il che, diciamo la verità senza piangerci addosso: spesso non avviene perché noi stessi non abbiamo ancora affinato a sufficienza la nostra arte per interessarle) in qualche modo dovrai contare principalmente sulle tue forze.
Per questo, io, come nella miglior tradizione ho elaborato un piano: ho convinto il mio eroico editore (che saluto, semmai capitasse da queste parti…) a pubblicare il mio libro sotto licenza Creative Commons, in modo da poter distribuire contestualmente al cartaceo (costo 10€) anche l’e-book gratuito, nella speranza che le due cose si sinergizzassero a sufficienza da trarre reciproco vantaggio l’una dall’altra. Poi ho cercato di farmi pubblicità come ho potuto: copie promozionali, siti amici, forum, anobii… insomma tutto quello che sono riuscito a scovare nella rete.
Ed eccomi qui.
La domanda centrale è: ha funzionato? Che dire… la verità è che la pagnotta è proprio dura. Sicuramente il mio libro ha avuto una diffusione imparagonabilmente maggiore a quella che avrebbe avuto col solo cartaceo. E grazie alla rete continuerà a diffondersi anche oltre la mia spinta promozionale che, diciamo la verità, è stata a tratti intensa mentre in altri momenti abbastanza deficitaria. Sì perché un problema è anche questo: la promozione fatta così, “casa per casa”, porta via moltissimo tempo e moltissima energia e io di mestiere faccio altro. Anche perchè dovessi campare della mia "arte" (...) dalle mie parti si dice - con riferimento alla cronica denutrizione che ne deriverebbe - cacherei sottile.
Insomma non sono qui a raccontarvi un insuccesso, però nemmeno chissà quale strabiliante successo. Non posso negare che visto l’impegno profuso speravo di ottenere qualcosa di più, in termini di download. La consolazione (non di poco conto in realtà) è che tutto sommato l’accoglienza di chi l’ha letto è stata certamente favorevole.
Quindi in conclusione, ecco i dati:

2500 download circa
100 copie cartacee smerciate circa
Una quindicina tra interviste e recensioni (generalmente positive, con poche eccezioni)
64 utenti di anobii che possiedono il mio libro (in 37 lo hanno votato - media voto 4/5 - in 36 lo hanno commentato)

E’ poco? E’ tanto? Giudicate voi, la vostra opinione è sempre bene accetta!
Se qualcun altro vuole raccontare la sua esperienza, anche meglio.

sabato 16 aprile 2011

Scream 4

In realtà l’idea originale era quella di andare a vedere il nuovo di Carpenter, ma sperare che stesse in sala a Modena addirittura tre settimane era davvero troppo. Quando ho consultato “Trova cinema” sono incappato in Scream4, figurarsi che non sapevo nemmeno che dovesse uscire (o se lo sapevo l’avevo dimenticato…) davvero non seguo più il cinema come un tempo – e non è detto che sia un male…


Trama: Dopo dieci anni Sidney Prescott torna a Woodsboro a presentare il suo nuovo libro, un libro in cui descrive come si è finalmente liberata del ruolo di vittima. Ma ovviamente non fa in tempo a mettere piede nella sua cittadina natale che gli ammazzamenti ricominciano…

Recensione: il film comincia con due ragazze in una casa che vengono puntualmente trucidate. Ma non è la realtà: è Stab6 (l’omologo filmico di Scream NEL film), che altre due ragazze guardano sedute su un divano. Le due ragazze si mettono a dibattere di film dell’orrore finché una non ammazza l’altra. Ma nemmeno questa è la realtà: è Stab7 che ALTRE due ragazze stanno guardando in salotto. Che a loro volta vengono trucidate.
Al ché ti chiedi: è Stab8? Avrà mai fine questa catena? Arriverà in sala fino a me? E con un inizio così un po’ ci speri anche, a dire il vero, che appaia Ghostface in sala a redimerti dai tuoi peccati: tipo quello di avere deciso di andare al cinema quella sera.
Non esageriamo. Scream4 non è così brutto. Una caratteristica degli ultimi anni è sicuramente quella che i sequel hanno acquisito qualità. Rispetto agli anni ’80, chi decide di continuare a mungere eternamente la stessa vacca almeno ha iniziato a sforzarsi un po’ di più. Se poi a fare il sequel è lo stesso regista dell’originale e magari il tutto accade a dieci anni di distanza con un vago sapore di nostalgia è persino lecito sperare di divertirsi. E quanto a questo, tutto sommato ci si diverte. Ci si diverte specialmente nei dettagli, il contrasto tra gli – un po’ invecchiati - protagonisti degli originali (Neve Campell, Courney Cox e David Arquette) e la nuova leva di carne da cannone. Ma anche negli accenni di riflessione vittimologia e nell’utilizzo invasivo delle nuove tecnologie (un profluvio di telecamere, cellulari, webcam, blog in diretta). Meno in palla le considerazioni sul “nuovo horror” e sulla sociologia dell’apparire, ma ci possono anche stare. Insomma Craven sembra parlarci sempre più d’altro, a volte lo fa con acume a volte spara un po’ nel mucchio, ma comunque si salva in corner.
C’è pure un po’ di paura in tutto questo? Beh ecco… molta paura la serie Scream a me non l’ha mai fatta, però diciamo che c’è qualche scena ben girata. E la soluzione dell’enigma? Mah! Una qualsiasi, ma almeno con uno straccio di motivazione che non sia: “No Luke io non ho ucciso tuo padre, IO sono TUO PADRE.”
Insomma, come dice il vecchio adagio, chi s’accontenta gode.
A rischio di fare uno SPOLIER (insomma valutate di non leggere oltre…) volevo dirvi anche questo: se il “cattivo immortale” da Hallowen e Venerdì 13 a Nightmare è un classico e se Saw (almeno nel primi tre) inventava il cattivo immortale per accanimento terapeutico, Scream ha inventato una nuova figura, il buono inaffondabile. I cattivi passano, ma Neve Campbell si salva SEMPRE, anche dopo trenta centimetri di lama nella pancia. FINE SPOILER.

Voto: 6.