venerdì 29 ottobre 2010

Hana B - Don't let me go

In questi giorni sono stato colpito dalla canzone dello spot della ONG "Save the Children", una canzone cantata da una voce maschile calda e triste secondo me di grande effetto, per cui ho fatto una ricerca su internet allo scopo di capire gruppo e titolo della canzone.
Siccome ottenere questa informazione non è stato banalissimo a partire dalle query che mi sembravano più ovvie (tipo "Save the children" "spot" "canzone" "ottobre" "2010") spartisco questa informazione con voi, per chiunque la cercasse.
La canzone, come da titolo del post si chiama "Don't let me go" e il gruppo in questione sono gli "Hana B".
Qui sotto il video, preso da you tube, che a tutt'oggi è stato pochissimo vivsitato, se si pensa al livello di esposizione mediatica del pezzo (il chè rinforza la mia idea che questo post aiuterà più di una persona).
Detto per inciso sperando che giri, il video... è la prima volta che provo a infilare un video nel blog. Comunque se non fosse così una breve ricerca su you tube vi porterà molto in fretta a destinazione.



lunedì 25 ottobre 2010

Pranzo di Ferragosto

Sabato sera ho visto questo film in prima tv su raitre. Solitamente non faccio post per film visti in tv, ma in questo caso mi sento di fare un’eccezione. In realtà non so nemmeno io esattamente perché, “Pranzo di Ferragosto” è un film piccolo piccolo, breve, che non ti resta necessariamente in testa. Il motivo per cui lo faccio è che tratta un tema che al cinema di solito non va per la maggiore: la vecchiaia. “Come?” direte voi i film sono pieni di persone di una certa età, spesso hanno anche ruoli di primo piano, persino i cartoni animati ne hanno scoperto gli acciacchi (vedi “Up”). E’ vero, ma di solito o la loro età anagrafica è accidentale, o fanno i nonni, o raccontano la loro vita passata in quanto piena di episodi interessanti. Non c’è niente di sbagliato in questo, naturalmente, ma mi sento di fare un appunto: film come questi in realtà o non parlano proprio di vecchiaia o lo fanno solo marginalmente, utilizzandola come strumento narrativo per parlare d’altro. Una parziale eccezione è “Pomodori verdi fritti”, in cui se è vero che la narrazione del passato è preponderante, è anche vero che vengono trattate – pur con leggerezza - anche tematiche più crude: l’ospizio, la morte, la solitudine, la “gestione” dell’anziano.

In “Pranzo di Ferragosto” invece si parla proprio di vecchiaia in quanto tale. La storia è questa: un signore che vive con la madre anziana e ha un sacco di debiti, si trova ad ospitare in casa altre tre donne anziane (madre e zia del suo amministratore in fuga con l’amante, e la madre del suo medico curate) per un giorno e una notte. La donne
dapprima accettano questa convivenza malvolentieri ma poi stringono amicizia e vorrebbero che il tutto durasse più a lungo.
Niente più di questo, niente di “straordinario”, verrebbe da dire. No, proprio nulla, anzi ad essere messo in scena è proprio l’ordinario. Con rigore e leggerezza, ossia senza sconti (di certo la vecchiaia non viene mitizzata in saggezza) ma senza calcare la mano (nessun dramma a fare da catarsi).
Nessun rimpianto del passato, si parla vagamente dei figli, dei problemi economici della famiglia ospitante, ma è il presente a dominare la prospettiva. E’ bello vedere queste signore rimpallate come pacchi postali che inizialmente vengono accudite come bambine ma poi ritrovano, nel piacere dello stare insieme, la loro parte di indipendenza.
Specialmente mi piace molto il messaggio che il film manda: la vecchiaia non è una specie di “tempo supplementare” in cui passare le giornate ad attendere la morte. Anche quando si è pieni di acciacchi e la prospettiva del futuro giocoforza si restringe, c’è ancora una vita che vale la pena di vivere, nel presente, fino in fondo.
Brave le attrici (non professioniste) ma anche il protagonista (e regista), nel ruolo del figlio un po’ avvinazzato e cialtrone, ma in fondo di buon cuore. Da antologia la scena in cui lui e l’amico (altrettanto sfigato) vagano per una Roma spopolata alla ricerca di un po’ di pesce da cucinare per pranzo e finiscono a comprarlo da un gruppo di baraccati che si improvvisano pescatori nel Tevere.

mercoledì 20 ottobre 2010

Dichiarazioni post-concorsuali

Pubblico molto volentieri (con il suo consenso...) le dichiarazioni di Antonio Liccardo vincitore del concorso a tema "Bestiario stravagante" per la categoria racconti:


Azz! Ho vinto! Olé-olé!
Per me è stato un piacere partecipare al progetto, mi spiace che in pochi abbiano accettato la sfida.
E' stato un ottimo esercizio di scrittura, non è mai facile creare un sequel, un prequel o qualcosa che sia mantenuto molto vicino al racconto originario. Soprattutto quando il suddetto racconto non è il tuo.
Ho accettato per questo motivo, non per avere la copia omaggio, né per denari o quant'altro.
Non nascondo che ultimamente ho partecipato anche a concorsi in cui il premio principale era in denaro.
Ora ho vinto, potrei pure astenermi dal dirlo, ma mi sono cimentato nella scrittura di "Capatosta" perché, beh, mi andava di farlo. Scrivere è quasi sempre un piacere, e quando non lo è del tutto, per me è utile il "temino a casa". E poi l'horror merita sempre ;) .

L'iniziativa era molto valida, un buon modo per far leggere Bestiario Stravagante (molti racconti erano superbi, complimenti a Prandini) e far partecipare gli altri.
Forse la pecca è stata la poca pubblicità, so di tanta gente che se lo avesse saputo in tempo avrebbe inviato racconti mostruosi. L'accezione di quest'ultimo aggettivo, poi, è a scelta. Ho detto che avrebbero partecipato in tanti, ma non ho detto in che modo!

Bene, mi auguro di cuore che la storiaccia vi sia piaciuta davvero. Io aspetto impaziente la mia copia cartacea del Bestiario, così da nutrire il mio ego da scrittore perennemente in erba e tenerlo a bada per un altro po'.

Enjoy.
Antonio Liccardo, il Collezionista di Attimi.
www.ilcollezionistadiattimi.jimdo.com


Che dire... grazie ad Antonio della partecipazione e dei complimenti.
Per parte mia io rinnovo i miei a lui per la vittoria.
Sicuramente una maggiore pubblicità avrebbe dato all'operazione un "tiro" diverso (anche se poi non è così banale capire DOVE farla questa pubblicità...), forse anche che il concorso si sia svolto per gran parte in estate è stato uno svantaggio, ma comunque per quanto mi riguarda bene lo stesso: tutta esperienza!


domenica 17 ottobre 2010

CAPATOSTA

Il 30 settembre sono scaduti i termini del concorso indetto da Kultvirtualpress per racconti e immagini derivati da uno dei racconti di “Bestiario Stravagante”. Ci tengo molto a ringraziare la redazione che mi ha offerto questo spazio e in particolare Marco Giorgini che ha lavorato attivamente alla realizzazione di detto concorso.
Ahimè, devo dire che la partecipazione è stata davvero esigua. D’altronde la concorrenza, a livello di concorsi letterari su internet è molto agguerrita e comprendo che l’offerta di una copia del mio libro (a fronte di chi offre in premio, magari, la pubblicazione di una selezione dei racconti pervenuti in un’antologia cartacea…) sia risultata scarsamente appetibile.
Che dire… peccato!
Ma veniamo ai risultati.
Di “opere visive” non ne è arrivata, ahimè, nemmeno una per cui il premio di quella sezione rimane inassegnato.
Per quanto riguarda invece la sezione “racconti” sono molto felice di assegnare la vittoria ad Antonio Liccardo con il racconto “Capatosta – parti extra/director’s cut de ‘La Cantina’ ”).
A seguire il testo: buona lettura!


Capatosta
(parti extra/director's cut de La Cantina)

Il tipo lasciò il bar ricambiando il saluto con la stessa gentilezza del gestore del locale che gli mostrò un sorriso compiaciuto e lo osservava insistentemente, quasi con goduria.
Il gerente sorrideva ancora quando, una volta solo, prese la cornetta del telefono e compose un numero.
- Non ci crederai, ma ne ho trovato uno ed è quello che fa per te.
- Fa per me – ripeté colui all'altro capo del filo – e per te?
- Dài, che prenderai due piccioni con una fava.
- Addirittura?
- Certo, certo: così tu ti divertirai come desideri, e i piccoli staranno a posto per un altro mesetto almeno.
- Caro mi costa questa doppia soddisfazione, o sbaglio?
- Sbagli. Ti costa poco, anzi non ti costa nulla.
- Fammi indovinare: è per la tua collezione.
Il barista, con voce estasiata, disse: - Sì! E' perfetto per quest'anno, vedessi che...
- Okay, okay, non mi raccontare i particolari. La mania è la tua.
- Ehi, porta rispetto al sindaco della tua città! Il mio è uno studio scientifico personale e...
L'altro tagliò corto: - Va bene, dimmi cosa devo fare.
- Dagli le chiavi, quest'è.
Incredulo, quello all'altro telefono stette in silenzio per un po' e poi domandò: - Le chiavi... della casa?
- No, del trerruote. Certo, della casa, di quella casa.
- E come hai fatto?
- È uno di città. Gli ho detto del silenzio che per lui può essere un problema, ma è stato ancora più contento. Vuole fare lo scrittore.
- Uno di città, eh: tenero tenero...
- e capatosta!
E risero di gusto.
- Mi ha detto che da piccolo stava sempre qui coi genitori, ma chi se li ricorda.
- Devo chiedere ai piccoli se si ricordano loro.
E di nuovo risate.
Poi il sindaco/barista salutò l'altro e riattaccò. Si fregò le mani e pensò che doveva essere un ottimo pezzo da anno 2010.

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Il tipo salutò da lontano il proprietario della casa che, sulla porta, picchiettava irrequieto le dita su un bicchiere di whisky.
Quando quello fu abbastanza lontano, il padrone acciuffò le chiavi dell'auto dal mobiletto all'entrata e si avviò fuori di casa. Si mise nel veicolo, e partì.
Pochi chilometri dopo arrivò a un'abitazione grande, silenziosa, ben tenuta. Vuota. Ne aprì il cancello del cortile e una volta dentro fece uscire da una casetta da giardino due sdraio che spiegò e un pallone da volley che lanciò sotto al canestro.
Entrò in casa, dal salone passò in cucina dove prese una porta e scese in cantina.
Accese la luce e una montagna di carne ricca di cicatrici si avventò contro di lui. Gli lanciò contro una proboscide lucida lunga un braccio e due cicatrici si strapparono e rivelarono occhi grossi quanto un limone, famelici.
Il padrone di casa si afferrò la catenina che aveva sotto la maglia e la espose. Una pietruzza di colore verde screziata di raggi e stelle dorati. Brillò.
Il pallido essere ritrasse la proboscide orripilato e dalla trombetta che aveva sulla nuca partì un fischio liquido. Rimase fisso e tremava così tanto che sembrava ribollisse.
Da un angolo della cantina, dietro uno spesso armadio, fecero capolino altre tre creature identiche, prive però della proboscide ma con un appendice dentata a forma di spinotto elettrico.
- Calma: sono io - precisò il padrone, che allungò una mano, tenendo l'altra ben salda sulla pietra al collo. Accarezzò quella massa sformata che a poco a poco placò il suo tremolio. Le altre tre si avvicinarono a quella con la proboscide e furono carezzati anch'essi.
- Ho una sorpresa per tutti voi, ma ho bisogno della vostra partecipazione – disse, e da una tasca del pantalone prelevò quattro pietre di colori diversi ma brillanti come quella che portava al collo.
Ne poggiò ognuna sulla punta delle sacche di carne, le quali allargarono la cicatrice più lunga e ingollarono i minerali.
Cominciarono a gorgogliare, sbuffare, sciogliersi per poi ricomporsi, prendere qualsiasi dimensione e poi soffermarsi in forme stabili. Il proprietario intanto si avvicinò all'armadio e lo aprì.
Uno di quei cosi divenne ciò che somigliava a un maschio umano grosso di costituzione, gli altri ammassi divennero una figura femminile matura e uno che sembrava un bimbo piccolo. L'entità con la proboscide stava divenendo la stessa figura femminile ma in scala ridotta.
Più passavano i minuti più si definivano. Erano nudi.
- Vestitevi con questi – il padrone lanciò loro degli abiti prelevati dall'armadio.
Disse al maschio che stava crescendo ad altezza uomo: - Quando andate via, portagli via ciò che può fare rumore qui vicino. L'ultima volta non si è sentito nulla.
In risposta ricevette un impercettibile cenno della testa che andava pian piano allontanandosi dal corpo grazie a un collo dapprima piatto, poi taurino, infine più lungo.
Indicando la porta della cantina - Ti sta aspettando il sole che ti piace tanto - fece alla femmina più grandicella, dal capo della quale stavano zampillando sottili fili lunghi che assumevano sempre più il colore del grano.
- A te, indovina: è in giardino, è rotonda, fatta di pelle lavorata ma non è una testa umana mozzata. Cos'è? - e il più piccolo umanoide capì, abbozzando ciò che sembrava un sorriso a lato di una cicatrice che si stava gonfiando a mo di labbra.
Alla donna giovane in via di composizione declamò – Tu sarai la star di questo film – e le diede un pizzicotto su quella che stava per delimitarsi come guancia – e io mi occuperò della location.

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Il tipo per poco non incontrava il proprietario della casa: il primo andava via, il secondo arrivava in auto, rimorchiando una betoniera.
Quello che emulava le fattezze di padre era in attesa al cancello, la madre si godeva il sole su una delle sdraio, il più piccolo calciava ripetutamente la palla di pallavolo contro il muro e la giovane saltò dalla sua sdraio per avvicinarsi al padrone, visibilmente impaziente.
- Non stai nella pelle, eh? A proposito, visto che siamo pronti – lui agitò una cazzuola che aveva in mano – mi dovresti qualcosa.
Lei chiuse gli occhi, inspirò profondamente e sputò a terra un grumo di colore bianco. Il padrone lo raccolse dall'erba del cortile, lo pulì e ne rivelò il sassolino colorato che le aveva fatto inglobare giorni prima.
La ragazza iniziò a perdere consistenza.
- Su, su: non c'è tempo da perdere – e la trascinò con se in casa.

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Il tipo venne spinto nell'enorme bocca dell'essere con la proboscide, con gli innumerevoli tentacoli che ne fuoriuscivano.
Il proprietario della casa guardava incantato la scena, giocherellando con tre pietre colorate in una mano e quella pendente al collo con l'altra.
- È tenero come piace a te, direttamente dalla città.
Dalle scale di legno discesero veloci gli altri tre componenti della famiglia che erano a uno stadio di decomposizione avanzato, e attendevano impazienti intorno alla massa dalla quale si udiva uno scrocchiare di ossa.
Il padrone pochi minuti dopo ordinò: - Okay, ora mi lasci il pezzo. Succhialo e sputamelo.
Il sacculo gigante si fermò per un attimo, ruotò alcune delle sue lingue appiccicose, risucchiò potente e sputò a terra il teschio impeccabilmente ripulito del tipo che si era recato in quell'abitazione perché voleva diventare uno scrittore.
Il padrone lo raccolse, lo fissò.
Le altre tre creature ritornarono allo stato di cumuli di carne. Affondarono la propria spina di denti nel mucchio carnoso che si stava nutrendo, e cominciarono e succhiare.
- Bravi i miei piccoli, bravi – si compiacque e se ne andò, passando accanto a una telecamera con una luce rossa accesa.
A notte fonda il proprietario della casa bussò a una porta con la pomposa targhetta "sindaco".
Fu nella villa e poggiò un sacchetto sul tavolo che il sindaco impaziente lo portò via, dirigendosi in una stanza che recava fuori una scritta: "evoluzione".
Domandò senza vero interesse – Com'era l'inquilino?
- Tenero tenero.
Il sindaco raccolse il teschio e gli batté rumorosamente le nocche sul cranio.
- E capatosta!
Si sganasciarono dalle risate; il sindaco poggiò il reperto osseo su un mastodontico scaffale ligneo, accanto a centinaia e centinaia e centinaia di teschi.

lunedì 11 ottobre 2010

Inception

Cobb è un estrattore. Una persona che entrando in un sogno condiviso è in grado di carpire i tuoi pensieri. Ne ha fatto un mestiere: vende la sua abilità a fini di spionaggio industriale. Dopo aver fallito un colpo, è proprio la sua vittima ad offrirgli un nuovo incarico: impiantare nel cervello del figlio del più magnate mondiale dell’energia l’idea di dividere il suo impero dopo la morte (imminente) del padre. Sembra un’impresa impossibile, ma in cambio Cobb avrà quel che più desidera, la possibilità di tornare a casa dai suoi figli.

Vorrei raccontare di più della trama di Inception, che detta così sembra piuttosto banale il chè non rende giustizia all’opera. Al contrario le sue contorsioni sono talmente strette e complicate che mi ci vorrebbe mezza giornata per farlo, la qual cosa in qualche modo mi costringe alla sinossi stringata di cui prima.
Anche per quanto riguarda il commento, ci vorrebbe molto tempo e molto spazio, specialmente forse sarebbe necessario parlarne con qualcuno che lo ha visto.
Mi limiterò perciò a gettare nel calderone alcuni appunti sparsi.
Innanziatutto, com’è il film? Da vedere. Quantomeno certamente da vedere per chi ama un certo tipo di cinema “lisergico” come me. Da questo punto di vista Nolan non tradisce mai. Tranne quando si dedica a Batman, su questo sospendo il giudizio perché a me il personaggio (i supereroi in generale) sta abbastanza sulle palle, per cui quel “ramo” me lo sono sempre scontato.
Ma Batman a parte c’è un filo rosso nell’opera di Nolan che va da “Memento” a “Inception” passando per “The prestige”, ossia il tema dell’alterazione del reale, della sua dispercezione e della menzogna. A parte queste tematiche di fondo sono tre film molto diversi, ma di certo tutti e tre molto originali.
Tra essi “Inception” è certamente il più spettacolare nonché forse il più ambizioso, ma anche il più meccanico. Contiene moltissime idee ma la maggior parte di esse rimangono appena sbozzate, sullo sfondo, e nel continuo rutilare di eventi non vengono mai messe veramente a fuoco o alla prova.
Il suo peccato, piuttosto insolito per la verità, è la sovrabbondanza: vorrebbe descrivere una “realtà” che ha regole differenti, ma non lascia mai davvero il tempo allo spettatore di riparametrarsi. Perduti nell’abisso progressivo del sogno nel sogno nel sogno nel sogno non abbiamo mai tempo di riflettere, ci dobbiamo sempre “fidare” che gli incastri riescano, che quello che ti viene detto abbia un senso. Tra l’altro per parte mia, almeno in una circostanza - che non descrivo per non fare uno spoiler grosso come una casa – ho sentito un chiaro odore di forzatura, se non proprio di “frode”.
Ma anche sorvolando su quest’ultimo appunto, non ritengo che quelle precedentemente descritte siano qualità positive. Una storia, se è buona abbastanza, se ha fiducia nella sua logica, dovrebbe lasciarti il tempo di valutare, “Inception” non lo fa.
C’è però anche dell’altro: alla rincorsa di una spettacolarità che ha “Matrix” come paradigma, la velocità si è mangiata i personaggi, ne ha banalizzato i risvolti psicologici rendendoli a mio avviso un po’ bidimensionali. Da questo punto di vista la distanza sia da “Memento” che specialmente da “The prestige” è siderale.
Detto questo comunque “Inception” non è Matrix per cui tutto il capitolo “predestinazione e altre simili minchiate” ci viene risparmiato, e questo l’ho trovato molto apprezzabile.
Dunque “Inception” non è bello? Tutt’altro, non fraintendetemi, Inception è MOLTO bello, uno dei film più belli degli ultimi anni, quantomeno come film di genere.
Una goduria: specialmente per gli occhi.
Però… però non è bello quanto “Memento”, secondo me, e soprattutto non è bello quanto “The prestige” che tra film mi Nolan trovo sia di un’incollatura i migliore di tutti.

sabato 2 ottobre 2010

La Passione

Per rilanciare la sua carriera un regista in crisi (Orlando), deve trovare una storia in cui far recitare una divetta televisiva (Capotondi) reduce da un serial in costume di grande successo. Il giorno del colloquio con il produttore, però, nella sua casa vacanze in Toscana un tubo traditore si rompe, allagando il suo appartamento e infiltrandosi fino ad un dipinto del ‘500 nella cappella sottostante. Per evitargli grane con la sovrintendenza la sindachessa gli chiede di essere il regista della sacra rappresentazione del paese cinque giorni dopo. Lui accetta ma delega l’incombenza ad un suo allievo ex-galeotto (Battiston) incontrato per caso sul posto, mentre continua a cercare una storia per il suo nuovo film.

La Passione è una galleria di personaggi e piccoli dettagli memorabili che però faticano a cucirsi insieme alla perfezione lasciando alla fine un vago sapore di irrisolto.
Le scene memorabili d’altronde sono parecchie: Battiston che improvvisa uno spettacolo per le vie dal borgo vestito da alieno e viene messo in fuga da un minuscolo cagnolino. La fila per telefonare con il cellulare (la sommità di una scalinata è l’unico punto del paese in cui c’è campo dopo che, per paura dell’elettrosmog, la cittadinanza ha fatto smontare il ripetitore). La figura di Guzzanti, ingaggiato come protagonista della rappresentazione, che normalmente sbarca il lunario leggendo le previsioni del tempo. I copioni scritti sotto dettatura dai bambini della scuola elementare, visto che le uniche due fotocopiatrici del paese sono guaste. La scena un cui Silvio Orlando a cena con la Capotondi con una gamba finto-ingessata trova finalmente un momento di ispirazione abborracciando un copione che per un istante sembra poterlo riscattare… ma poi tutto finisce in vacca. Eccetera eccetera.
Insomma il film non è perfetto, ma merita comunque la visione. Specialmente il finale mi ha lasciato francamente un po’ perplesso, ma spiegarvi il perché – oltre a costringermi a raccontarvelo - richiederebbe una trattazione di tre o quattro pagine, il chè non mi pare il caso…

Un approfondimento: il personaggio interpretato da Silvio Orlando.
Ho letto su internet alcune recensioni prima di scrivere questa mia e volevo scrivere questo piccolo supplemento per parlare di un aspetto che (almeno nel piccolo pool da me esplorato) sembro essere l’unico ad avere rilevato. Ho letto qualcuno che ha parlato del personaggio interpretato da Silvio Orlando come di “buono e giusto”, qualcun altro che ne ha parlato come di qualcuno che “lotta contro la volgarità imperante”, ma specialmente tutti sembrano pensare che noi dovremmo in qualche modo identificarci con lui e specialmente identificarlo col regista.
Per parte mia ho trovato invece il personaggio di Silvio Orlando decisamente negativo, uno di quei personaggi con cui è anzi assai difficile trovare un qualunque livello di solidarietà.
E’ la sua incuria a lasciare esplodere il tubo dell’acqua, la sua debolezza a renderlo facile bersaglio per un ricatto, il suo menefreghismo nei confronti dell’impegno preso a mettere la sacra rappresentazione a rischio di naufragio, la sua supponenza a mandare definitivamente a gambe all’aria la sua vita artistica.
Specialmente quest’ultimo aspetto mi pare emblematico. Chiamato a mettere insieme un copione (e accettato di farlo), per la Capotondi mente, prende tempo, finge di infortunarsi, abborraccia una storia trita e banale e di fronte ai più che legittimi dubbi della ragazza cerca di metterla nell’angolo con una citazione dotta – la via più facile per chi non ha argomenti. E’ veramente un piacere vederlo lasciare lì come un pesce lesso.
La volgarità impera? Forse sì. Ma la torre d’avorio dell’intellettuale che si ritiene migliore degli altri non è una risposta, questo a me è parso il messaggio di Mazzacurati. Il personaggio di Silvio Orlando mi è antipatico persino quando dice a Guzzanti che come attore è un cane (cosa peraltro evidente a tutti), rischiando di mandare in vacca la recita. E mi è antipatico due volte quando di inginocchia di fronte all’altro per riportarlo indietro.
Codardo e disvitale, è il perfetto rovescio della medaglia dell’Italia in cui la volgarità impera.