martedì 17 aprile 2012

Cristiano Filippini - Flames of passion

Ho conosciuto la musica di Cristiano Filippini leggendo una sua intervista sul portale Truefantasy.
In quei giorni navigavo intensamente siti del genere, alla ricerca di possibili vetrine per “Le sorgenti del Dumrak” il primo libro di Finisterra, quando mi sono imbattuto nell’articolo che parlava della musica di Cristiano. Incuriosito sono andato sul suo sito (www.cristianofilippini.com) e ho ascoltato i primi minuti di alcuni suoi pezzi e quelli interi che erano proposti sul suo canale youtube ed è stato sostanzialmente amore al primo ascolto, tanto che a breve giro di posta mi sono procurato il suo cd e l’ho contattato per chiedergli se aveva voglia di prestarci qualche minuto della sua musica per il booktrailer di Finisterra.

Date queste premesse, è addirittura ovvio quel che sto per dirvi in questa recensione: ossia che l’opera in questione mi è piaciuta moltissimo. Innanzitutto chiariamo le coordinate generali, Cristiano Filippini fa parte di una genia di musicisti non comune, specialmente ai nostri tempi e alle nostre latitudini: è un compositore di musica sinfonica. Parliamo quindi di pezzi strumentali (niente voce) pervasi di veri e propri pieni orchestrali. Inoltre l’attitudine metallica, dichiarata anche nella bio, è piuttosto spiccata e infatti ho letto in giro che varie riviste di metal hanno avuto occasione di ascoltare ed apprezzare l’opera del Filippini.

Ma veniamo all’opera in sé: Flames of Passion è un concept di dodici pezzi di grande impatto emotivo, dove momenti intensamente drammatici si alternano ad altri di straordinaria epicità e qua e là si aprono ad una vena romantica di gran classe.

Spiace davvero (e un po’ anche stupisce, tutto sommato) che il nostro non abbia trovato qualche casa discografica disposta a dargli tutto il supporto produttivo e di distribuzione che merita. Ma poi chissà, sono io che affermo che Cristiano “non ha trovato”, magari è stata una sua scelta. Comunque sia andata, come si apprende dal booklet il nostro ha fondato una casa di produzione tutta sua e il know-how evidentemente non gli manca perché il suono del cd è pressoché perfetto.

I pezzi notevoli sono numerosi, a partire dallo splendido tema dell’Overture (nonché title track) continuando con l’epica Hymn to freedom ripresa in organo nel Finale. Bellissimi i due Nocturne Romance, dove fanno capolino atmosfere più misurate e ed elegiache alla Cacciapaglia, stessa aria si respira pure nell’ottima Victim of love. E splendide pure sono l’arcana e folkeggiante Swordance e When dawn comes divisa in due tra sentimento e pieni orchestrali. Un gradino sotto nelle mie preferenze le drammatiche Malleus maleficarum e Rain of venegance e a seguire le rimanenti. Ma non escluderei affatto che la vostra opinione sia totalmente diversa dalla mia perché, e questo secondo me è il migliore dei complimenti che si può fare ad una produzione “indipendente” (ma in realtà a qualunque cd, in effetti…), la qualità è così uniformemente elevata e ogni pezzo così ben caratterizzato che scegliere il proprio brano preferito è davvero una questione di gusto personale.

Una raccomandazione d’obbligo, non mancate di leggere nel booklet (graficamente pure lui di ottima qualità, peraltro) La leggenda della Casata Heinz, che costituisce il filo conduttore di tutto il concept.

Voto 8.5


mercoledì 11 aprile 2012

Visioni di marzo

Questo mese è tutto improntato al cinema fantastico.
Ci risentiamo a breve (si spera) anche con qualche argomento diverso dai film visti!
Si spera...

Pandorum

Due giorni fa, svuotavo il solaio di Simona insieme a suo fratello, quando questo mi ha detto che uno dei due blockbuster di Modena (la catena è fallita, o comunque sta liquidando tutto quel che possiede…) era ancora aperto e svendeva i suoi dvd al 75% di sconto. Il giorno dopo io mi sono fiondato là e con 18€ mi sono portato a casa 8 film. Visto che nella pratica costavano circa 2€ l’uno mi sono lasciato andare a varie voglie, in particolare mi sono puntato su una fascia di “b movie” (per semplificare) di genere fantastico che avevo annotato sugli annuari di film tv. Questa sera ci siamo sciroppati il primo film del lotto.
Siamo attorno all’anno 2150, la sovrappopolazione della terra ha raggiunto livelli insostenibili e siamo ormai alla “lotta per il cibo”. Una sonda spaziale ha raggiunto Tanis, un pianeta abitabile in un altro sistema solare, viene quindi spedita a colonizzarlo l’astronave Elysium. Sono appena partiti quando ricevono l’ultima comunicazione dalla terra, pochi istanti prima della sua esplosione. Un tempo imprecisato più tardi, il caporale Boyer si risveglia dal criosonno. Dovrebbe far parte della squadra numero cinque, che curerà l’astronave dall’ottavo al decimo anno di viaggio, poco dopo si sveglia anche il tenente Peyton ma comprendiamo subito che qualcosa è andato storto. Il reattore della nave è spento, l’energia ausiliaria si sta esaurendo ed è impossibile accedere alla sala di comando. Boyer, sotto la guida di Peyton si mette in viaggio attraverso i condotti dell’aria con l’idea di andare a riavviare manualmente il reattore fino a raggiungere un’altra parte della nave, solo per scoprire che essa è popolata da creature orribili.
Pandorum è un film di fantascienza di tutto rispetto. Non perfetto, ma robusto, avvincente, con molte idee, una bella ambientazione, il giusto equilibrio tra azione e approfondimento, un cast che nel complesso funziona. Una pellicola “di genere” nel senso nobile del termine, di quelle che quando dici a te stesso “ho proprio voglia di vedere un bel film di fantascienza”, ti lasciano a fine serata soddisfatto. Molto bella la scena in cui il risvegliato pazzoide spiega la storia di quel che è accaduto, scivolata nel mito, illustrandola su quelli che sembrano disegni rupestri. Se lo vedrete capirete di cosa parlo.

Voto: 7+


Solomon Kane

Uno dei film che ho acquistato dalla svendita totale di blockbuster.
Diciamo la verità, non è che mi aspettassi un film straordinario. Me lo immaginavo un po’ truzzo, però insomma: trasposizione di un fantasy classico, alto budget, produzione europea, protagonista che almeno non è “The Rock” o altra salama da sugo muscolo-marmorea. I presupposti per una scommessa da due euro c’erano. Scommessa ahimè perduta, perché questo film è proprio bruttino bruttino.
Dopo vari anni di razzie più o meno nel nome di Dio (o se non altro contro gli infedeli) l’anima di Solomon Kane è dannata. Riesce a sfuggire al mietitore che vuole portarlo all’inferno, ma per redimersi promette di intraprendere un cammino non violento. Si ritira in convento e dopo un po’ i frati lo accompagnano alla porta (non si capisce bene perché), lui incontra una comitiva di puritani che sta per salpare per l’America (siamo nel 1600), fa un pezzo di strada con loro finché non vengono attaccati da una banda di cattivoni che fanno capo a un tizio a volto coperto che sembra Letherface, che è solo il braccio secolare dello stregone Malachia. I cattivi rapiscono una ragazza e Solomon decide di permutare la sua redenzione non violenta con una redenzione nel salvataggio di questa ragazza. E dopo circa 40 minuti di film più o meno d’atmosfera (i migliori) cominciano le mazzate.
Nella restante ora di film in ordine sparso, Solomon viene crocefisso, dato in pasto a degli zombi da una specie di predicatore pazzo, gli improvvisano attorno un esercito, scopriamo gli altarini della sua famiglia (e relativi colpi di scena alla “No, Solomon, io non ho ucciso tuo padre. IO sono tuo padre!”), combatte contro un balrog eccetera, eccetera. Se almeno ci fosse dell’ironia già sarebbe tutta un’altra cosa, e invece no: questi fanno proprio sul serio… e la noia dilaga. Poteva essere un film alla “Conan il Barbaro”, e invece siamo più dalle parti di Beowulf (quello con Cristopher Lambert). Un po’ meglio, ma nemmeno tanto.

Voto: 4


The Hole

Accipicchia, erano proprio anni fitti che non si vedeva in giro un film di Joe Dante! Sono andato or ora vedere su imdb per vedere se ero io ad essermi perso qualche titolo o se semplicemente negli ultimi anni il buon Joe si era dedicato ad altro. E in effetti è così: dopo il 1990 soltanto tre titoli per il cinema, Matinee (1993), Small Soldiers (1998) e Looney Toons back in action (2003), di cui quest’ultimo peraltro nel mio immaginario è uno di quei progetti (tipo Space Jam) un po’ “figli di nessuno”. A parte questo molte regie per serie televisive. E sì che negli anni ’80 Joe Dante, collaterale a Steven Spilberg, aveva dato vita ad alcuni dei film più spassosi di tutto il decennio (soprattutto per il me bambino di quel tempo): i due Gremlins, Explorers, Salto nel Buio, uno dei segmenti del film “Ai confini della realtà”.
Ed ecco che dicendo questo abbiamo già detto un sacco di cose su The Hole: sembra un film uscito direttamente dagli anni ’80 a parte il fatto di essere stato girato per il 3D, cosa che in tv perde la sua efficacia eppure per molti dettagli si nota (è evidentissimo che un sacco di inquadrature sono pensate proprio per quello). Storia all’osso: nuova famiglia – madre e due figli – si trasferisce nel quartiere. Presto i due pargoli fanno una scoperta inquietante: nella cantina della loro casa c’è una botola chiusa con un sacco di lucchetti. Manco a dirlo la aprono. Manco a dirlo c’è un buco senza fondo, manco a dirlo cominciano a uscire cose strane. Vicina di casa coetanea del fratello grande (sedicenni con accenno di flirt ma nemmeno un bacio) aiuta nelle “indagini”.
Detto così sembra una vaccata, e non posso negare che tale lo si possa anche considerare, ma a chi ha la mia età e con certi film ci è cresciuto sono pronto a scommettere che piacerà. In “The Hole” c’è tutta l’innocenza perduta dei nostri dieci-dodici anni. Quella in cui il mondo delle fantasie bambine ha ancora una cesura netta con quello degli adulti, e che da esso si aspetta talmente poca solidarietà che preferisce “rischiare la vita” nascondendo il buco alla mamma piuttosto che comunicarle una (presunta) marachella. La stessa innocenza perduta che combatte il Male con una maschera da catcher e attende ore davanti al buco il suo manifestarsi, tranne poi addormentarsi nell’attesa. E’ il mondo dei bambini, quelli fortunati s’intende, in cui tutto accade per finta, in cui anche il Male è in fondo incruento, e l’unica cosa a far davvero paura è la paura.

Voto obiettivo: 5.5
Voto emotivo: 7


Dimensione carattereTroll Hunter

Quarto film da “svendita blockbuster”. Questo più di tutti lo ritenevo una “voglia di fichi secchi” come si suole dire dalle mie parti. Insomma, una trashata. Sono stato molto felice di sbagliarmi.
Un gruppo di studenti si mette alle calcagna di un uno strano cacciatore per girare un documentario sulla sua vita. Un bracconiere che uccide orsi, nominalmente, ma in realtà lavora per un’organizzazione del governo norvegese tesa a contenere la i problemi causati dai troll che escono dalle loro aree protette e a mantenerne nascosta l’esistenza.
Non aspettatevi i “Men in Black”, qui c’è solo sto cacciatore sfigato, il funzionario suo superiore che potrebbe benissimo fare il metalmeccanico e un gruppo di polacchi che procacciano orsi croati per dare a bere alla cittadinanza che i danni provocati dai troll siano in realtà provocati dagli orsi.
E non aspettatevi nemmeno i troll come creature demoniache provenienti da chissà quale recesso di universo magico, questi troll sono solo animali: puzzolenti, stupidi e mangioni. Il lavoro del nostro troll hunter è più simile a quello di un cacciatore delle nostre colline che contiene le nascite dei cinghiali e si occupa del fatto che non vadano in giro a fare troppi danni. Poi qualche caratteristica particolare questi troll ce l’hanno, tipo: sentono puzza di “cristiano” (nel senso: credente della religione cristiana), diventano di pietra o esplodono alla luce ultravioletta (ci spiega una veterinaria: hanno un problema con la vitamina D), alcuni hanno tre teste (ma due sono finte, se le fanno crescere perché attirano le femmine).
E oltre a queste ci sono varie altre cose geniali in questo filmetto, oltre a dei troll veramente bellissimi (che fanno B-movie abbestia, e per questo a mio avviso anche più belli!). La scena in cui in nostro troll hunter si mette una sorta di scafandro da palombaro perché deve fare un prelievo di sangue a una bestiaccia che lo piglia e lo sbatacchia come un pupazzo è una delle scene più spassose che mi è capitato di vedere negli ultimi anni.
L’espediente del documentario con relativa presa diretta e ritrovo del nastro alla scomparsa dei cineasti fa tanto “Blair witch project”. Anche un po’ troppo, per la verità ma comunque ha la sua efficacia e non inficia il risultato di un film davvero davvero godibile!

Voto: 8.5