Ho approfittato di queste vacanze natalizie per attivarmi su varie cose che avevo lasciato indietro. Tra esse, ho noleggiato qualche film che avevo lasciato indietro dalle scorse stagioni. Dalle mie parti (ma quasi certamente in tutta Italia) la catena “Blockbuster” ti consente di portare a casa per una settimana 3 film (escluse le ultime uscite) a 5 euro un prezzo che è concorrenziale persino con i distributori automatici. I quali comunque nel mio quartiere, probabilmente affondati dai mille tipi di tv a pagamento, non ci sono più.
I primi tre titoli che ho noleggiato sono stati “Sweeny Todd”, “Tideland” e appunto “Into the wild”, che è poi quello che mi è piaciuto di più ed è per questo che primo tra tutti (e probabilmente risulterà l’unico) mi accingo a parlare.
LA TRAMA in due parole: un ragazzo di buona famiglia, ma con qualche problema di relazione con i genitori, finito il college decide di dare in beneficenza il suo fondo per l’università e poi parte in giro per gli Stati Uniti. Dopo due anni finirà in Alaska a vivere solo all’interno di un bus abbandonato, chissà come e perché, in mezzo alla vegetazione.
Non ho visto molti film in questo 2008, non molti almeno, in proporzione a quanti ne vedevo in anni passati.
La verità è che con l’andare del tempo sono diventato di gusti sempre più difficili e trovare un film che susciti veramente il mio entusiasmo è cosa rara.
Anzi diciamo pure che tutto sommato INTO THE WILD in tutto il 2008 probabilmente è stato l’unico.
Perché? Mah… difficile a dirsi. Perché è un film estremo, come le scelte del suo protagonista. Perché è un film poetico, certamente. Perché tocca un tema che mi sta a cuore: non posso fare a meno di pensare che la scelta del protagonista, è quella che potrei fare io il giorno in cui sbroccassi definitivamente.
Ma non credo che tutto questo basti a spiegarne la bellezza. La verità è che questo film come pochi altri è intensamente, profondamente, vitale. Nonostante a volte le parole del protagonista abbiano un certo sapore di retorica, nonostante per certi versi il film sia la cronaca di un fallimento ideale, non ho potuto fare a meno di essere conquistato dal tentativo eroico (ma nonostante tutto non nichilista, o almeno io l’ho percepito come tale solo in apparenza) di afferrare la vita. Mi ha ricordato per certi versi “Una storia vera” quel film di David Lynch dove Richard Fansworth parte a bordo del suo tosaerba e attraversa gli Stati Uniti ai trenta all’ora, per andare a trovare il fratello malato con cui aveva litigato trent’anni prima e da allora non ha più visto. C’è la stessa dittatura degli affetti nei due film, la stessa esigenza imprescindibile: certo in Into the wild, il risultato è cambiato di segno (e ci mancherebbe altro visto che tra i due protagonisti ci sono cinquant’anni di differenza) ma il sentimento è molto simile.
I primi tre titoli che ho noleggiato sono stati “Sweeny Todd”, “Tideland” e appunto “Into the wild”, che è poi quello che mi è piaciuto di più ed è per questo che primo tra tutti (e probabilmente risulterà l’unico) mi accingo a parlare.
LA TRAMA in due parole: un ragazzo di buona famiglia, ma con qualche problema di relazione con i genitori, finito il college decide di dare in beneficenza il suo fondo per l’università e poi parte in giro per gli Stati Uniti. Dopo due anni finirà in Alaska a vivere solo all’interno di un bus abbandonato, chissà come e perché, in mezzo alla vegetazione.
Non ho visto molti film in questo 2008, non molti almeno, in proporzione a quanti ne vedevo in anni passati.
La verità è che con l’andare del tempo sono diventato di gusti sempre più difficili e trovare un film che susciti veramente il mio entusiasmo è cosa rara.
Anzi diciamo pure che tutto sommato INTO THE WILD in tutto il 2008 probabilmente è stato l’unico.
Perché? Mah… difficile a dirsi. Perché è un film estremo, come le scelte del suo protagonista. Perché è un film poetico, certamente. Perché tocca un tema che mi sta a cuore: non posso fare a meno di pensare che la scelta del protagonista, è quella che potrei fare io il giorno in cui sbroccassi definitivamente.
Ma non credo che tutto questo basti a spiegarne la bellezza. La verità è che questo film come pochi altri è intensamente, profondamente, vitale. Nonostante a volte le parole del protagonista abbiano un certo sapore di retorica, nonostante per certi versi il film sia la cronaca di un fallimento ideale, non ho potuto fare a meno di essere conquistato dal tentativo eroico (ma nonostante tutto non nichilista, o almeno io l’ho percepito come tale solo in apparenza) di afferrare la vita. Mi ha ricordato per certi versi “Una storia vera” quel film di David Lynch dove Richard Fansworth parte a bordo del suo tosaerba e attraversa gli Stati Uniti ai trenta all’ora, per andare a trovare il fratello malato con cui aveva litigato trent’anni prima e da allora non ha più visto. C’è la stessa dittatura degli affetti nei due film, la stessa esigenza imprescindibile: certo in Into the wild, il risultato è cambiato di segno (e ci mancherebbe altro visto che tra i due protagonisti ci sono cinquant’anni di differenza) ma il sentimento è molto simile.
Chiunque dovrebbe guardare INTO THE WILD. Nella vita penso arrivi un momento in cui è necessario guardarsi dentro e capire chi si è veramente e cosa si vuole dalla vita. Dopo aver visto il film per qualche giorno ho pensato alla mia situazione...e ho deciso di cambiare!
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