venerdì 5 novembre 2010

Giallo

Nel lungo week-end dei Santi (ma ormai anche da noi meglio conosciuto come week-end di Halloween) io e Simona abbiamo noleggiato qualche film horror per farci una bella scopracciata tematica. In particolare i film erano “Diary of the dead” il quinto di Romero a tema zombi, “Wolfman” un remake de “L’uomo lupo” il famoso film con Bela Lugosi e Lon Chaney anche citato in “Un lupo mannaro americano a Londra”, e “Giallo” l’ultimo film di Dario Argento a cui è dedicato questo post.

Diciamo la verità. Dopo “Phenomena”, con la sola eccezione (per me) di “Non ho sonno”, il buon Dario davvero non ne ha più imbroccato uno di film, per cui sinceramente se anche continuo ad essere un fedele fruitore delle sue opere, non è che nutrissi molta fiducia in questo “Giallo”. Anche la trama: solito serial killer che rapisce e tortura modelle, con investigatore disturbato che gli da la caccia, non è che mi facesse troppo ben sperare.
Curiosità, un po’ di attenzione è stata data al film perché la produzione sembrava non voler pagare il suo cachet ad Adrian Brody, il protagonista (non so se poi lo abbia fatto). Io ho saputo della sua esistenza così, anche perché in Italia è arrivato direttamente il dvd.
Che dire del film? Poco mi attendevo, poco ho avuto. E “poco” credo che sia la parola che meglio lo descrive. Poco slancio, poca inventiva, tutto sommato poca truculenza, trama e personaggi all’osso. Persino corto: un’ora e venti e rotti, il minimo sindacale per chiamarsi film. L’impressione complessiva è quella di trovarsi davanti al pilot di una serie televisiva.
Un po’ come “Il cartaio”: non è particolarmente brutto, ma anonimo. “Giallo” sembra essere per certi versi ancora più ripulito da certi eccessi tipicamente “argentiani” (unica concessione, la storia personale dell’investigatore), che da un lato sono la sua cifra stilistica, dall’altro lo fanno apparire sempre parecchio retrò.
E questo è quello che in fondo io penso di Dario Argento: che sia rimasto abbastanza fermo agli anni ’70 (o al massimo primi ’80), sia dal punto di vista della regia, sia dal punto di vista della sceneggiatura. Che non sia stato capace di aggiornarsi adeguatamente, tanto che una volta era un regista in qualche modo d’avanguardia, mentre ora è rimasto in retroguardia.
Una cosa specialmente gli vorrei dire: di scrivere i soggetti, ma poi farsi aiutare nelle sceneggiature. Personaggi e i dialoghi sono poco interessanti, a volte proprio banali. Non a livello di: “Che cos’hai? Ti è morto il gatto?”, ma a volte poco ci manca, io alle volte capto proprio dei passaggi a vuoto, degli sfilacciamenti notevoli.
In questo “Giallo” in particolare le modelle sono manichini, Emmanuelle Seinger – come sempre –legnosa come poche, banali i risvolti psicologici dell’assassino, appena sul livello di guardia quelli dell’investigatore (che i colleghi chiamano New York, designandolo col luogo di provenienza anziché col suo nome, una cosa che non so perché mi fa incazzare come poche: voglio dire c’ho le mie turbe pure io, eh…), e l’ombra della noia si affaccia sullo spettatore a più riprese, tanto da farci sperare che almeno il serial killer faccia a fette un po’ di modelle.
Per concludere: peccato. Un film solo per fan, gli altri se lo possono tranquillamente scontare.

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