mercoledì 30 marzo 2011

Silvio Forever

L’ho visto venerdì scorso, appena uscito. Lo proiettavano all’Astra, l’unico cinema del centro di Modena sopravvissuto all’avvento dell’epoca dei multisala. L’idea di andare al cinema mi frullava in testa fin dal pomeriggio, e mi stavo chiedendo se in quel cinema si potesse prenotare, perché temevo una ressa notevole.


Non ricordavo quanto fosse grande la sala “Turchese” dell’Astra. Con i suoi 504 posti (fonte Trovacinema) è probabilmente la sala più grande rimasta in tutta Modena. Così grande da sembrare d’altri tempi. Il secondo spettacolo cominciava alle 22.30: noi alle 22, per non correre rischi di arrivare lunghi o che ci toccassero i posti più sfigati, eravamo già lì. L’atrio era vuoto, non c’era nemmeno la maschera. Ad un certo punto è apparsa e gli abbiamo chiesto se si poteva già entrare. Nella sala c’eravamo solo noi, quando il film è iniziato eravamo in 17 (contati).
C’era un tizio in giacca e cravatta dietro le mie spalle che durante i trailer già pisolava. Una signora alla nostra sinistra addirittura russava, suo marito l’aveva messa in quarantena due posti più in là e ogni tanto si sporgeva a scuoterla perché cambiasse posizione smettesse di russare per qualche minuto. All’ultimo momento è arrivato un tizio che se non era Filippo Rossi (il giornalista di Farefuturo web magazine) era la sua controfigura.
In quella sala deserta io e Simona ci siamo lanciati in un poderoso remember di tutti i cinema che c’erano un tempo nel centro di Modena e di come e in che ordine a poco a poco abbiano chiuso, di come ogni autunno dopo la chiusura estiva sfogliassi la Gazzetta di Modena con trepidazione per vedere quali fossero ancora aperti. Di quali erano grandi, quali piccoli, belli, brutti, di prima visione, di seconda visione, d’essai, porno. Di quali hanno tentato, come l’Astra, di rinnovarsi e hanno, magari, resistito per un po’ prima di gettare la spugna.
L’Astra stesso secondo me non se la passa bene, ora fanno uno spettacolo solo ogni sera, tranne che nel week-end.

E il film?
Mi verrebbe voglia di non parlarne nemmeno, potrebbe bastare l’aneddoto sui cinema.
C’è un idea geniale in questo documentario. Non so chi l’abbia avuta (se i registi – Macelloni e Faenza - o gli sceneggiatori – Stella e Rizzo) ma è veramente geniale. A narrare è Silvio Berlusconi, in persona. Le interviste e le sue dichiarazioni, a volte interpretate – ma sempre fedelmente così come riportate – da Neri Marcorè. E’ una vera e propria “autobiografia”, nel senso che tramite le parole del Silvione nazionale apprendiamo moltissime cose della sua vita, a partire dall’infanzia, fino ai giorni nostri. La politica c’è, ma non è la cosa più importante.
Quindi è pro o anti? Né l’uno né l’altro.
Forse perché attraverso le parole di Berlusconi, si parla in realtà dell’Italia.
Che dire… mentre vedevo il film sovvenivano sprazzi di “Morte di un commesso viaggiatore” che ho visto a teatro mille anni fa, interpretato da Umberto Orsini. Mi veniva in mente quella scena in cui i figli del protagonista, scoprono che tutta la prosopopea del padre che si descriveva come il miglior piazzista dell’azienda era una menzogna e in realtà è solo un vecchio rottame.
Intendiamoci, non renderei giustizia a Silvione se lo descrivessi come un vecchio rottame: per quanto poco mi piaccia non metto certo in dubbio il suo essere un “uomo di successo” (però così Berlusconi ne esce dal film. Citando Montanelli: “Il più grande piazzista d’Italia”).
Eppure la secondo me la similitudine è azzeccata nello scarto calcolato tra la realtà e la narrazione ammannita ai figli. Si perché in qualche modo, volenti o nolenti, a mezzo televisivo gli italiani sono tutti figli suoi. Che lo si ritenga modello o tiranno, Silvio Berlusconi sembra essere la cifra di un’Italia che ha chiuso i cinema del centro e ha aperto i multisala, la “pancia del paese”, il suo sogno estetico, il suo abbruttimento etico, il collo di bottiglia di ogni discussione pubblica, il punto di caduta di ogni argomento politico.
Silvio Forever?
Direi di no, per ragioni anagrafiche se non altro. Credo che ci sveglieremo un giorno, da questo stato di coma ipnotico pseudo-onirico, e forse solo allora saremo pronti davvero per cercare di capire esattamente che cazzo ci è successo in tutto questo tempo.

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