DUE CHIACCHIERE PRELIMINARI: me l’ha regalato mia madre per Natale, assieme a “L’eleganza del Riccio” e “L’estate dei morti viventi”.
TRAMA: In una scuola materna di Bergamo sul finire del 2007 giungono due maestre trasferite da Brescia. Provengono da una scuola sulla quale pende un processo per presunti casi di pedofilia. Pochi mesi dopo l’inizio della scuola una bambina comincia ad accusare sintomi di molestie: in poco tempo i sintomi dilagano anche tra i suoi compagni si scuola. Le autorità indagano, in breve ambienti ecclesiastici e universitari vengono travolti dai miasmi dello scandalo. Ma è davvero accaduto qualcosa? O è tutto frutto di un fenomeno si suggestione di massa?
COMMENTO: Libro complesso, l’ultimo di Scurati. Sfaccettato e sofferto come pochi. Raccontata così in poche parole la trama sembra quella di un giallo, in cui scoprire alla fine chi sono i colpevoli. In realtà “Il bambino che sognava la fine del mondo” è qualcosa di totalmente diverso. Cominciamo col dire questo, non appena ho cominciato a leggere il libro la mia mente è corsa immediatamente a Rignano Flaminio, credo che nessuno possa essersi dimenticato di cosa parlo: per un certo periodo non di è parlato d’altro. Quel caso di un asilo alle porte di Roma in cui due maestre e varie altre persone sono state accusate di avere portato all’esterno della scuola numerosi bambini per sottoporli poi ad abusi sessuali addirittura a sfondo satanico. Non so come quella vicenda sia andata a finire: fatalmente accade abbastanza di frequente, dopo un certo periodo sotto i riflettori queste storie escono dal circuito dei media e spesso e volentieri si rimane anche orfani del finale. Alle ultime notizie che ricordo su questo fatto l’impianto accusatorio pareva essere stato quasi completamente smontato.
Ad ogni modo, come dicevo, leggendo il libro di Scurati - il cui protagonista (di cui non viene mai detto il nome) lavora all’università di Bergamo (come Scurati) ed è corrispondente de “La Stampa” (come Scurati), e parla di e addirittura con personaggi realmente esistenti quali Massimo Gramellini ed Enrico Mentana - sono stato per un po’ prigioniero di un incantesimo: non sapevo più se quello che stavo leggendo era un’opera di fiction o una personale ricostruzione di un evento di cronaca realmente accaduto e che mi fosse, chissà come, sfuggito.
La verità è che “Il bambino che sognava la fine del mondo” è un romanzo e d’altronde se avessi letto la nota che si trova prima della dedica mi sarei accorto che l’autore lo dice esplicitamente.
Eppure, anche se si tratta di un’opera di fantasia, l’impatto emotivo per me è stato comunque molto grande, paragonabile a quanto lo fu leggere, a suo tempo, “I quasi adatti” di Peter Hoeg.
Perché? Perché… già. Perché Scurati è uno di quegli autori che non ti lascia sedere comodo sulla tua poltrona da spettatore, ed è in grado con le sue tematiche e specialmente con il suo modo di affrontarle (mi era già successo con “Il sopravvissuto”) quasi di affondarmi nella carne.
Il caso di presunta violenza in realtà resta quasi tutto il tempo sullo sfondo, le tematiche vere sono altre. La realtà mediatica che confonde quella vera ad un punto tale da arrivare a divorarla. Una città appestata dai miasmi di un epidemia di paura e sospetto, fino a perdere la sua innocenza provinciale. La putrescenza dell’istituzione universitaria. I ricordi di un bambino (il protagonista) nella cui infanzia forse è sepolto qualcosa di traumatico. La paternità. E molti altri ancora.
Infine, sullo sfondo di tutto, una grande domanda di stampo psicoanalitico: è davvero possibile che, in un caso come quello di Rignano Flaminio, non sia in realtà accaduto nulla? E se fosse veramente così, questa suggestione collettiva, questa convinzione diffusa che qualcosa di brutto si accaduto, può trasferirsi su chi dovrebbe avere in prima persona vissuto questo episodio (i bambini) creando essa stessa il trauma?
Scurati da una sua risposta a questa domanda, una risposta atta a risolvere narrativamente la vicenda di un romanzo, e come tale può piacere o non piacere. Ma non giudica, non si schiera in fondo né con i “colpevolisti” (coloro che sostengono che in casi come questo qualcosa debba per forza essere successo) né con gli “innocentisti”, che anzi lui chiama “colpevolisti di secondo tipo” (ossia coloro che ritengono possa non essere accaduto nulla e accusano i “colpevolisti” di avere appestato il clima con le loro grida). Non è questo che gli interessa, non è prendere parte ad una colluttazione ma svelare un meccanismo e in questo è preciso e implacabile.
Una nota particolare per il modo di scrivere dell’autore. In genere io non apprezzo molto un linguaggio ricercato, ritengo che spesso e volentieri le cose si possano (e si dovrebbero) dire in una maniera il più possibile comprensibile. Di norma mi irrita un po’ chi cucina periodi lunghi, complessi, fino a volte a risultare nebulosi. Scurati è sul mio limite, se “abusasse” della lingua un briciolo di più io comincerei a storcere il naso. In tutta onestà qui e là mi è capitato di storcerlo. Però glielo perdono perché per i nove decimi del libro invece la prosa è riuscitissima, una delle poche che riesce ad emozionarmi, al di là di tutto, anche per il suo “bello scrivere” (per il mio gusto, s’intende…).
TRAMA: In una scuola materna di Bergamo sul finire del 2007 giungono due maestre trasferite da Brescia. Provengono da una scuola sulla quale pende un processo per presunti casi di pedofilia. Pochi mesi dopo l’inizio della scuola una bambina comincia ad accusare sintomi di molestie: in poco tempo i sintomi dilagano anche tra i suoi compagni si scuola. Le autorità indagano, in breve ambienti ecclesiastici e universitari vengono travolti dai miasmi dello scandalo. Ma è davvero accaduto qualcosa? O è tutto frutto di un fenomeno si suggestione di massa?
COMMENTO: Libro complesso, l’ultimo di Scurati. Sfaccettato e sofferto come pochi. Raccontata così in poche parole la trama sembra quella di un giallo, in cui scoprire alla fine chi sono i colpevoli. In realtà “Il bambino che sognava la fine del mondo” è qualcosa di totalmente diverso. Cominciamo col dire questo, non appena ho cominciato a leggere il libro la mia mente è corsa immediatamente a Rignano Flaminio, credo che nessuno possa essersi dimenticato di cosa parlo: per un certo periodo non di è parlato d’altro. Quel caso di un asilo alle porte di Roma in cui due maestre e varie altre persone sono state accusate di avere portato all’esterno della scuola numerosi bambini per sottoporli poi ad abusi sessuali addirittura a sfondo satanico. Non so come quella vicenda sia andata a finire: fatalmente accade abbastanza di frequente, dopo un certo periodo sotto i riflettori queste storie escono dal circuito dei media e spesso e volentieri si rimane anche orfani del finale. Alle ultime notizie che ricordo su questo fatto l’impianto accusatorio pareva essere stato quasi completamente smontato.
Ad ogni modo, come dicevo, leggendo il libro di Scurati - il cui protagonista (di cui non viene mai detto il nome) lavora all’università di Bergamo (come Scurati) ed è corrispondente de “La Stampa” (come Scurati), e parla di e addirittura con personaggi realmente esistenti quali Massimo Gramellini ed Enrico Mentana - sono stato per un po’ prigioniero di un incantesimo: non sapevo più se quello che stavo leggendo era un’opera di fiction o una personale ricostruzione di un evento di cronaca realmente accaduto e che mi fosse, chissà come, sfuggito.
La verità è che “Il bambino che sognava la fine del mondo” è un romanzo e d’altronde se avessi letto la nota che si trova prima della dedica mi sarei accorto che l’autore lo dice esplicitamente.
Eppure, anche se si tratta di un’opera di fantasia, l’impatto emotivo per me è stato comunque molto grande, paragonabile a quanto lo fu leggere, a suo tempo, “I quasi adatti” di Peter Hoeg.
Perché? Perché… già. Perché Scurati è uno di quegli autori che non ti lascia sedere comodo sulla tua poltrona da spettatore, ed è in grado con le sue tematiche e specialmente con il suo modo di affrontarle (mi era già successo con “Il sopravvissuto”) quasi di affondarmi nella carne.
Il caso di presunta violenza in realtà resta quasi tutto il tempo sullo sfondo, le tematiche vere sono altre. La realtà mediatica che confonde quella vera ad un punto tale da arrivare a divorarla. Una città appestata dai miasmi di un epidemia di paura e sospetto, fino a perdere la sua innocenza provinciale. La putrescenza dell’istituzione universitaria. I ricordi di un bambino (il protagonista) nella cui infanzia forse è sepolto qualcosa di traumatico. La paternità. E molti altri ancora.
Infine, sullo sfondo di tutto, una grande domanda di stampo psicoanalitico: è davvero possibile che, in un caso come quello di Rignano Flaminio, non sia in realtà accaduto nulla? E se fosse veramente così, questa suggestione collettiva, questa convinzione diffusa che qualcosa di brutto si accaduto, può trasferirsi su chi dovrebbe avere in prima persona vissuto questo episodio (i bambini) creando essa stessa il trauma?
Scurati da una sua risposta a questa domanda, una risposta atta a risolvere narrativamente la vicenda di un romanzo, e come tale può piacere o non piacere. Ma non giudica, non si schiera in fondo né con i “colpevolisti” (coloro che sostengono che in casi come questo qualcosa debba per forza essere successo) né con gli “innocentisti”, che anzi lui chiama “colpevolisti di secondo tipo” (ossia coloro che ritengono possa non essere accaduto nulla e accusano i “colpevolisti” di avere appestato il clima con le loro grida). Non è questo che gli interessa, non è prendere parte ad una colluttazione ma svelare un meccanismo e in questo è preciso e implacabile.
Una nota particolare per il modo di scrivere dell’autore. In genere io non apprezzo molto un linguaggio ricercato, ritengo che spesso e volentieri le cose si possano (e si dovrebbero) dire in una maniera il più possibile comprensibile. Di norma mi irrita un po’ chi cucina periodi lunghi, complessi, fino a volte a risultare nebulosi. Scurati è sul mio limite, se “abusasse” della lingua un briciolo di più io comincerei a storcere il naso. In tutta onestà qui e là mi è capitato di storcerlo. Però glielo perdono perché per i nove decimi del libro invece la prosa è riuscitissima, una delle poche che riesce ad emozionarmi, al di là di tutto, anche per il suo “bello scrivere” (per il mio gusto, s’intende…).
grazie lo leggerò di sicuro....
RispondiEliminami sei stato molto d'aiuto...
distinti saluti
MI fa molto piacere! Buona lettura!
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