DUE CHIACCHIERE PRELIMINARI: Secondo libro che mi ha regalato mia madre per la befana, ora vado per “L’eleganza del riccio”… John Ajvide Lindquvist (l’autore) è lo stesso di “Lasciami entrare”, una storia di vampiri da cui hanno tratto l’omonimo film uscito all’inizio del 2009.
TRAMA: Il 14 di agosto di una torrida estate svedese un intenso campo elettromagnetico di origine sconosciuta cresce su Stoccolma chiudendola in una morsa. Gli elettrodomestici non si spengono, tutta gli abitanti sono in preda ad una fortissima emicrania. Quando il campo elettrico cessa, i morti iniziano a risorgere. Non tutti: solo quelli morti da meno di due mesi. Non sono aggressivi, semmai piuttosto spaesati. Parallelamente ci vengono narrate la storia di David, marito della donna che è rimasta morta per meno tempo che ha riguadagnato la facoltà di parlare. Di Gustav Mahler e sua figlia rapiscono dissotterrano il piccolo Elias (nipote e figlio rispettivamente) e lo portano in campagna nel tentativo di ristabilire con lui un contatto. Di Elvy e sua nipote Flora entrambe sensitive affrontano il l’avvenimento nel modo che pare loro più consono: chi ascoltando Marylin Manson, chi fondando una setta che predice la fine del mondo.
COMMENTO: “Un capolavoro” ci avverte Horace Engdahl, segretario permanente del comitato per il premio Nobel dalla quarta di copertina. Nientemeno. Bah, sarà.
Ora, questo libro ha delle qualità, lungi da me dire il contrario.
Una scrittura assai fluida e piacevole, una certa originalità nel trattare l’argomento zombi, alcune scelte indubbiamente efficaci, tre o quattro scene che mi sono rimaste davvero bene impresse nella mente. Però ci andrei piano a scomodare il termine capolavoro. Su anobii gli ho dato tre stelle su cinque, ciò significa che complessivamente non l’ho valutato in maniera negativa, anzi complessivamente la lettura ha avuto una sua piacevolezza.
Però inutile negare che complessivamente sono rimasto abbastanza deluso, forse anche perchè mi aspettavo abbastanza.
Vediamo le motivazioni.
Cominciamo con il dire questo. Un campo magnetico fa venire il mal di testa a tutta Stoccolma poi i morti risorgono: una cosa grossa, verrebbe da dire. Gli svedesi, popolo notoriamente flemmatico, la prendono con filosofia. Fondamentalmente pare che la cosa non interessi poi granché a nessuno, tempo due giorni e hanno cominciato già gli spettacoli di cabaret a sfondo “morti viventi”. L’opposizione ne approfitta per attaccare la politica del governo. Il ministero della sanità li riunisce tutti insieme per studiare un improbabile programma di riabilitazione a fini di reinserimento.
Nipote e nonna sensitiva sentono uno strano vento e poi si guardano l’una con l’altra “Erano le anime dei morti” dice l’una “Si anche secondo me.” Risponde l’altra. O suppergiù. Dieci minuti dopo in casa si trovano di fronte al nonno morto che si mette a scartabellare negli archivi di casa (in cerca del suo certificato di morte, forse?). Chiamano l’ambulanza, la ragazzina dice: “Vabbè dai nonna io vado a casa” (abita dall’altra parte della città). “Fa attenzione.” Risponde la nonna.
Popolo flemmastico questi svedesi, come dicevo.
Avrei potuto pensare che questa fosse una metafora del fatto che noi vivi siamo in realtà ormai talmente anestetizzati che siamo morti quanto i morti, che siamo in grado di digerire con indifferenza anche la più pazzesca assurdità. L’avrei anche apprezzato. Però ci sono numerosi dettagli che stridono con questa lettura. Innanzitutto perché per rendere questo contrasto l’espediente necessario sarebbe stato quello di contrapporre alla resurrezione dei morti una realtà assolutamente “illuminista”. Io l’avrei immaginato così: su quella realtà giunge come un maglio la resurrezione dei morti viventi e ci aspetteremmo panico in ogni strada… e invece niente. Eccoci a scoprire che in realtà la secolarizzazione della nostra società è acefala, indifferente ad ogni teoria, prescinde da qualunque considerazione spirituale. I morti risorgono? Vabbè, se risorgono risorgono. Cancelliamo la riga di registro che dice “I morti restano morti” e scriviamo “I morti a volte risorgono” e poi continuiamo la nostra vita indifferenti ai significati, alle implicazioni. Sarebbe stata una bella idea, o comunque se non altro un’idea discretamente succosa, graffiante. Ma l’impressione non è quella.
A questo proposito mi sono chiesto per tutto il libro: che ci fanno le sensitive in questa storia? Perché l’autore deve avere avuto una buona ragione per mettercele, visto che la loro sola presenza per me rischia di rovinare tutto. Una ad un certo punto vede la vergine Maria, poi di sensitivo ne salta fuori pure un terzo. E alla fine la verità è che se ne faceva perfettamente a meno. Tutto quello che aggiungono alla storia si potrebbe bellamente ignorare oppure l’autore ci potrebbe trasferire le informazioni in maniera differente. Questo dettaglio più di tutti gli altri mi fa pensare che il messaggio del libro sia un altro.
Dirci che i morti stanno bene morti, e non è il caso che risorgano zombi perché poi non sono più quelli di una volta, sporcano, puzzano e danno luogo ad altre manifestazioni politicamente poco corrette.
Grazie al cazzo, con licenza parlando.
Non da ultimo, attendiamo per tutto il tempo che la storia arrivi a una qualche sorta di risoluzione, che i destini dei protagonisti magari si incrocino, o quantomeno che vivaddio sti tristi e barbosi zombi si prendano almeno la briga di mangiare qualcuno.
Niente da fare.
Un finalino alla camomilla, irrisolto e aperto ad una prospettiva questa sì agghiacciante: un seguito.
TRAMA: Il 14 di agosto di una torrida estate svedese un intenso campo elettromagnetico di origine sconosciuta cresce su Stoccolma chiudendola in una morsa. Gli elettrodomestici non si spengono, tutta gli abitanti sono in preda ad una fortissima emicrania. Quando il campo elettrico cessa, i morti iniziano a risorgere. Non tutti: solo quelli morti da meno di due mesi. Non sono aggressivi, semmai piuttosto spaesati. Parallelamente ci vengono narrate la storia di David, marito della donna che è rimasta morta per meno tempo che ha riguadagnato la facoltà di parlare. Di Gustav Mahler e sua figlia rapiscono dissotterrano il piccolo Elias (nipote e figlio rispettivamente) e lo portano in campagna nel tentativo di ristabilire con lui un contatto. Di Elvy e sua nipote Flora entrambe sensitive affrontano il l’avvenimento nel modo che pare loro più consono: chi ascoltando Marylin Manson, chi fondando una setta che predice la fine del mondo.
COMMENTO: “Un capolavoro” ci avverte Horace Engdahl, segretario permanente del comitato per il premio Nobel dalla quarta di copertina. Nientemeno. Bah, sarà.
Ora, questo libro ha delle qualità, lungi da me dire il contrario.
Una scrittura assai fluida e piacevole, una certa originalità nel trattare l’argomento zombi, alcune scelte indubbiamente efficaci, tre o quattro scene che mi sono rimaste davvero bene impresse nella mente. Però ci andrei piano a scomodare il termine capolavoro. Su anobii gli ho dato tre stelle su cinque, ciò significa che complessivamente non l’ho valutato in maniera negativa, anzi complessivamente la lettura ha avuto una sua piacevolezza.
Però inutile negare che complessivamente sono rimasto abbastanza deluso, forse anche perchè mi aspettavo abbastanza.
Vediamo le motivazioni.
Cominciamo con il dire questo. Un campo magnetico fa venire il mal di testa a tutta Stoccolma poi i morti risorgono: una cosa grossa, verrebbe da dire. Gli svedesi, popolo notoriamente flemmatico, la prendono con filosofia. Fondamentalmente pare che la cosa non interessi poi granché a nessuno, tempo due giorni e hanno cominciato già gli spettacoli di cabaret a sfondo “morti viventi”. L’opposizione ne approfitta per attaccare la politica del governo. Il ministero della sanità li riunisce tutti insieme per studiare un improbabile programma di riabilitazione a fini di reinserimento.
Nipote e nonna sensitiva sentono uno strano vento e poi si guardano l’una con l’altra “Erano le anime dei morti” dice l’una “Si anche secondo me.” Risponde l’altra. O suppergiù. Dieci minuti dopo in casa si trovano di fronte al nonno morto che si mette a scartabellare negli archivi di casa (in cerca del suo certificato di morte, forse?). Chiamano l’ambulanza, la ragazzina dice: “Vabbè dai nonna io vado a casa” (abita dall’altra parte della città). “Fa attenzione.” Risponde la nonna.
Popolo flemmastico questi svedesi, come dicevo.
Avrei potuto pensare che questa fosse una metafora del fatto che noi vivi siamo in realtà ormai talmente anestetizzati che siamo morti quanto i morti, che siamo in grado di digerire con indifferenza anche la più pazzesca assurdità. L’avrei anche apprezzato. Però ci sono numerosi dettagli che stridono con questa lettura. Innanzitutto perché per rendere questo contrasto l’espediente necessario sarebbe stato quello di contrapporre alla resurrezione dei morti una realtà assolutamente “illuminista”. Io l’avrei immaginato così: su quella realtà giunge come un maglio la resurrezione dei morti viventi e ci aspetteremmo panico in ogni strada… e invece niente. Eccoci a scoprire che in realtà la secolarizzazione della nostra società è acefala, indifferente ad ogni teoria, prescinde da qualunque considerazione spirituale. I morti risorgono? Vabbè, se risorgono risorgono. Cancelliamo la riga di registro che dice “I morti restano morti” e scriviamo “I morti a volte risorgono” e poi continuiamo la nostra vita indifferenti ai significati, alle implicazioni. Sarebbe stata una bella idea, o comunque se non altro un’idea discretamente succosa, graffiante. Ma l’impressione non è quella.
A questo proposito mi sono chiesto per tutto il libro: che ci fanno le sensitive in questa storia? Perché l’autore deve avere avuto una buona ragione per mettercele, visto che la loro sola presenza per me rischia di rovinare tutto. Una ad un certo punto vede la vergine Maria, poi di sensitivo ne salta fuori pure un terzo. E alla fine la verità è che se ne faceva perfettamente a meno. Tutto quello che aggiungono alla storia si potrebbe bellamente ignorare oppure l’autore ci potrebbe trasferire le informazioni in maniera differente. Questo dettaglio più di tutti gli altri mi fa pensare che il messaggio del libro sia un altro.
Dirci che i morti stanno bene morti, e non è il caso che risorgano zombi perché poi non sono più quelli di una volta, sporcano, puzzano e danno luogo ad altre manifestazioni politicamente poco corrette.
Grazie al cazzo, con licenza parlando.
Non da ultimo, attendiamo per tutto il tempo che la storia arrivi a una qualche sorta di risoluzione, che i destini dei protagonisti magari si incrocino, o quantomeno che vivaddio sti tristi e barbosi zombi si prendano almeno la briga di mangiare qualcuno.
Niente da fare.
Un finalino alla camomilla, irrisolto e aperto ad una prospettiva questa sì agghiacciante: un seguito.
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