domenica 21 febbraio 2010

SANREMO 2010

Sanremo è Sanremo, si suole dire.
Forti di questa tautologia si può legittimamente sostenere che qualsiasi cosa vada bene.
Per parte mia posso anche concordare. Non mi interessa chi vince, non mi aspetto che vinca la canzone che io trovo più bella, anzi non mi aspetto nemmeno che ci sia alcuna canzone che mi piaccia veramente. Guardo comunque assiduamente Sanremo con grande divertimento e un interesse essenzialmente antropologico: oserei quasi dire entomologico.
Sulla edizione appena conclusa si potrebbero dire molte cose: ora, partendo dal presupposto che Sanremo per me è una di quelle cose che per definizione non vanno mai prese eccessivamente sul serio, cercherò di tratteggiarne le linee essenziali (secondo la mia opinione, naturalmente).


Per prima cosa, la conduzione di Antonella Clerici. Confesso che al principio ero perplesso temevo che a lasciarla lì sola sul parco tutto il tempo alla lunga si sarebbe sentita un po’ la mancanza di una spalla. Invece la Clerici ha impresso alla trasmissione un ritmo serrato, puntando molto sulla musica e pochissimo sui siparietti. Scelta più che felice, solitamente le chiacchiere erano una cosa che mi rompeva mortalmente le palle, scoprire che dopotutto se ne poteva anche fare a meno è stato… liberatorio . Mi sbilancio nel dire che questo è verosimilmente stato uno dei motivi di successo dell’edizione. Voto: 7.
In secondo luogo gli ospiti: alti e bassi. Ho apprezzato la coreografia della Cuccarini, i ballerini di Michael Jackson, l’apertura il primo giorno di Bonolis e Laurenti. Terribili invece l’intervista alla regina Rania, i siparietti con Cassano e i tre tenori fanciulli (in particolare i tenorini che cantavano “O sole mio” a beneficio della regina di Giordania, sono stati da antologia del trash). Fuori contesto Maurizio Costanzo, sebbene apprezzabile l’intento. Nelle righe tutti gli altri, una nota di tenerezza per la comparsata geriatrica di Nilla Pizzi. Voto: 6.
I cantanti. Farò prima una disamina delle canzoni in ordine rigorosamente alfabetico, poi aggiungerò qualche altra considerazione a parte.
Arisa: “Sincerità” era una piacevole sciocchezzuola, di rifarla uguale non c’era bisogno. Voto: 5.5
Malika Ayane: Raffinata, il chè nove volte su dieci significa “noiosa”. Voto 5.5
Simone Cristicchi: Testo intelligente e divertente, musica scoppiettante. Geniale il finale. Voto: 8
Toto Cutugno: Di una canzone come questa dalle mie parti si dice che “fa venire gli sgrisori” ma il duetto con Belen Rodriguez è davvero troppo. Voto: 1
Nino D’Angelo: Essendo in dialetto non ci ho capito una cippa. Forse per questo, ascoltando solo la musica l’ho apprezzata. Voto: 6.5.
Irene Fornaciari feat. Nomadi: una lagna davvero infestante. Voto: 5
Irene Grandi: Irene ha verve, la canzone non è straordinaria, ma dopotutto siamo pur sempre a Sanremo… Voto: 7
Marco Mengoni: Sembrava la colonna sonora di un film di James Bond, anche il testo era meno banale della media. Per quanto non apprezzi troppo i suoi acuti lui ha comunque la stazza della star. Voto: 6.5
Fabrizio Moro: L’ho trovato un po’ imbolsito. Non è una cima, ma ci prova. La canone ha almeno un po’ di ritmo. Voto:6
Noemi: Bella la voce. Passabile la canzone. Voto: 6
Povia: Gli riconosco il coraggio di tentare di esprimere qualche idea. Per quanto possa dissentire dalla sostanza almeno non parla compulsivamente dell’ammmore. La canzone però è proprio brutta. Voto: 5
Pupo Emanuele Filiberto & Luca Canonici: Grotteschi. Voto:4
Enrico Ruggeri: Ha una bella voce e anche la canzone non è malaccio. Voto 6.5
Sonohra: Se questi sono i giovani dio ce ne scampi. Voto: 4.5
Valerio Scanu: Piatto, derivativo, indigeribile. Voto: 4
I giovani
: ho sentito solo quelli della prima serata e il vincitore. Non ce n’era uno che si avvicinasse alla sufficienza. Non stupisce che in altre edizioni abbiano vinto i Sonhora o Arisa. Al confronto sembrano dei geni. Voto collettivo: 4.
Ok, detto questo vorrei considerare quanto segue. Dopo che alla seconda sera la giuria demoscopica aveva cassato nell’ordine: Cutugno, Pupo & Co, Scanu, i Sonhora e Nino D’Angelo (ossia tutti quelli a cui ho dato i voti più bassi con l’eccezione di Nino D’Angelo che però aveva l’handicap di cantare in dialetto) dentro di me ho pensato che quest’Italia perennemente fanciulla poteva finalmente iniziare a intravedere la luce di un’età adulta. Avevo considerato affettuosamente il tramonto di un epoca in cui in nome della tautologia con cui ho iniziato l’articolo tutto era concesso, persino chiamare sul palco il ct della nazionale a sostegno della propria canzone.
Peccato che poi ci abbia pensato il televoto a smentirmi.
Ora, non me ne vogliano Pupo & Co, non ho proprio niente contro di loro: anzi ho vissuto con fastidio i fischi che ingenerosamente la platea gli ha tributato ancora prima che cantassero la loro canzone. Che dopotutto questo era, né più né meno: una canzone per quanto veramente brutta e incorniciata da un’operazione alla quale io mi sarei vergognato a prestarmi. Mi ero infatti anche spinto a dire: “Accipicchia ma a una persona come Emanuele Filiberto che comunque, insomma, bene o male ha sempre dimostrato un minimo di classe chi gliel’ha fatto fare di infilarsi in questa freakata?”
E invece non avevo capito un cazzo, come al solito.
Per non dire di Scanu: elettroencefalogramma piatto. L’impressione generale è stata che, data l’esposizione mediatica del personaggio, e specialmente la simbiosi tra l’utente medio di Amici e il suo telefonino cellulare questo tizio avrebbe potuto benissimo ruttare nel microfono che avrebbe vinto uguale. Me lo vedo dietro le quinte con il suo discografico che gli dice: “Guarda, ti do questo bigino facile facile. Devi solo fare quello che tutti si aspettano, cantare una canzoncina da triste barbogio e non puoi che vincere.”
Scanu, da buon soldato, va sul palco e obbedisce. Magari sarebbe pure bravo ma non ha occasione di dimostrarlo, magari sarebbe pure intelligente ma non dice una parola più del ovvio.
D’altronde questo è: la mediocrità non disturba nessuno.

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