sabato 6 marzo 2010

Il figlio più piccolo

DUE CHIACCHIERE PRELIMINARI: ho visto moltissimi film di Pupi Avati, di base li andrei a vedere tutti al cinema prescindere di cosa parlano, nei fatti delle volte l’ha vinta la pigrizia e magari li recupero anni dopo in video. Non sempre i suoi film mi convincono al 100%, però in generale li trovo sempre film interessanti. Innanzitutto, cosa che spesso si tende a dimenticare, Avati è uno dei pochi registi horror italiani degni di nota. Ne ha fatti quattro di horror (cinque contando anche “Balsamus l’uomo di Satana”, che però metto sub-judice perché non l’ho visto) e sono tutti e quattro meritevoli di essere. Un classico “La casa delle finestre che ridono”, belli sia “Zeder” sia il recente “Il nascondiglio” e un capolavoro “L’arcano incantatore”. Ma a parte questo, mi sono piaciuti moltissimo sia “Regalo di Natale” sia “La rivincita di Natale” in cui Avati ci regala un Gianni Cavina nei panni di uno dei personaggi più magistralmente schifosi della storia del cinema. Ma anche molti altri: specialmente un superclassico per me e i miei amici è: “La via degli angeli”.


TRAMA: Il film inizia con Luca Zingaretti (con dei riccioletti terrificanti appiccicati sulla testa…) che viene buttato fuori da un convento. Non capiamo esattamente perché, ma solo che i frati ritengono l’abbia fatta grossa: un qualche tipo di frode senza dubbio. Ce lo troviamo (pochi minuti dopo?) davanti a una chiesa di Bologna dove Laura Morante e Christian De Sica, che già hanno due figli, si stanno sposando. La cerimonia si conclude, Zingaretti carica De Sica per portarlo a Roma. E’ subito chiaro che non farà mai più ritorno. Passano una dozzina d’anni, Laura Morante vive ancora a Bologna con i due figli: il più grande – l’unica persona sensata di tutta la famiglia - che la mantiene, il più piccolo che si sta laureando al DAMS ad argomento cinematografico ed è decisamente un candido. Assieme a loro vive anche Sydne Rome con cui la Morante ha un allucinante gruppo musicale a sfondo buddista. Di lei capiamo anche che ha un passato (ma forse anche un presente) di malattia psichiatrica.
Zingaretti e De Sica hanno invece fondato un piccolo impero basato su frodi fiscali, scatole cinesi e ricatti contiguo ai salotti buoni della politica romana. De Sica ci mette la faccia, Zingaretti l’intelletto, altri - notai compiacenti, avvocatucoli da strapazzo, segretarie prestanome, amici di amici - danno una mano (o forse remano contro). C’è però un problema, la magistratura ha fiutato l’inghippo e il gruppo è sotto il martello della finanza: deve allo stato 55milioni di Euro per evasione fiscale, De Sica è stato anche intercettato mentre minaccia qualcuno. Ma niente paura: se la barca affonda è sufficiente reclutare il figlio più piccolo di De Sica ormai maggiorenne e cedergli tutte le attività.
Richiamato dalla sirena paterna, inconsapevole, il figlio accetta.

COMMENTO: Il film mi è piaciuto… abbastanza. Un po’ come in “La seconda notte di nozze” ad esempio, trovo che Pupi Avati qui spinga un po’ troppo il pedale del grottesco. La cosa in sé non mi dispiacerebbe, se non fosse che è un grottesco figlio di un abbruttimento dell’anima davvero straziante, eccessivo, finanche inverosimile nella stupidità di alcuni personaggi e nella mancanza di scrupoli di altri. Ma si sa, la realtà supera l’immaginazione sicché non dubito che cose come questa possano effettivamente accadere. Graffiante la descrizione dell’associazione a delinquere Zingaretti/De Sica: entrambi molto in parte. Addirittura ripugnante la figura di Laura Morante, che anche con tutti i suoi problemi non riesce a suscitare alcuna pietà. Le scene cult sono varie: il figlio più piccolo che manifesta al suo professore la volontà di scrivere la tesi di laurea su “Guinea Pig”, sempre lui in camera da letto con la segretaria del gruppo che ad un certo punto sembra destinato a sposare per salvare parte della baracca, De Sica che prima di imbarcare il figlio nella vicenda ha un sussulto di umanità e dice a sé stesso: “Che brutta merda che sono”. Non oso nemmeno immaginare che soddisfazione debba essere stata far recitare al malefico De Sica, che appesta tutti i Natali della nostra vita con i suoi filmazzi, suddetta battuta. Di certo ascoltarla in sala è stato piacevole. Complessivamente però il film mi ha lasciato comunque un vago retrogusto di incompiuto.
Voto: 6.5

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