SULLA COLLANA URANIA: ho un rapporto d’affetto molto particolare con i libri della collana Urania. Nella mia memoria sono legati principalmente a questo ricordo: la bancarella di libri usati che campeggiava tutte le estati nei pressi della pineta a Punta Marina, il luogo dove passavo le vacanze estive da bambino. Passavo un sacco di tempo a spulciare in mezzo a quei libri a metà prezzo, e finiva sempre che ne compravo qualcuno. Che poi regolarmente non leggevo. Ne avrò comprati almeno venti, non ne ho letti più di tre. Ma da questo punto di vita i miei occhi hanno sempre avuto più fame del mio stomaco di lettore. Questo “I danzatori di Noyo” l’ho recuperato a casa di mia madre, era uno di quelli che avevo comprato e mai letto. Conservo comunque un buon ricordo di quei pochi Urania che ho letto. Per quanto riguarda la fantascienza è la collana prototipo della letteratura di genere. Romanzi in genere brevi (d’altronde se ne dovevi comprare un altro due settimane dopo non potevano essere troppo lunghi) e autoconclusivi, ma specialmente storie che non avevano nessuna pretesa o desiderio di essere più di questo, uniti ad una qualità complessiva in genere dignitosa. Questo il mio ricordo, quantomeno.
TRAMA: La California, divenuta uno stato indipendente, è rimasta spopolata dopo un’epidemia di una misteriosa malattia chiamata osteo-liquoma. Sulla costa numerose comunità si sono organizzate in tribù governate in genere dai Mandarini, ex-hippy ora cinquantenni un po’ rincitrulliti dalle droghe e fanatici del ballo. Anzi, in realtà fanatici dell’idea che i giovani debbano ballare. Per questo ormai ogni comunità ha il suo Danzatore. Un androide clonato da un tale O’Hara a partire dalle cellule della bocca i un altro tale di nome Bennet. Il Danzatore ha un carattere psichedelico e dispotico è generalmente aiutato da un lacchè dalla coscienza chimica (un ex-criminale violento che grazie alle medicine riesce a contenere i suoi impulsi) ed è abbastanza chiaro che finirà per sterminare tutti coloro che ballano al suo cospetto. Sam Mac Gregor, giovane abitante della tribù di Noyo che ha studiato da stregone da Joe Pomo decide di ribellarsi e piuttosto che mettersi a ballare con gli altri decide intraprende il viaggio del Graal, da cui nessun giovane è mai tornato mentalmente sano.
COMMENTO: Questo libro di Margaret St. Clair ha trentacinque anni, e ahimè si vedono proprio tutti. Non si dice in che anni sia ambientato ma credo di possa ipotizzare tra gli anni 90 e l’inizio del nuovo millennio. Sia questo sia la tematica hippy, danno al tutto un sapore di involontaria ucronia, più che di fantascienza. Non mancano trovate abbastanza interessanti (la descrizione dell’epidemia, le esperienze di extravita, l’idea della coscienza chimica), ma sono spesso estemporanee, ossia senza nessuna reale funzione nella trama. Per quanto riguarda la trama, poste le basi che vi ho raccontato prima e che bene o male si mettono a fuoco nelle prime 10/20 pagine, tutto il resto è un continuo venire catturato e fuggire del protagonista prima da solo e poi con la figlia di O’Hara recuperata per strada in maniera più o meno casuale. Alla fin fine il risultato è una sorta di pastiche non molto riuscito di stampo avventuroso-magico-fantascientifico su cui aleggia per tutto il tempo lo spettro di Joe Pomo (il cui solo nome è una risata sicura…). Ma il peggio è che alla lunga è la noia a farla da padrona.
Voto: 5
TRAMA: La California, divenuta uno stato indipendente, è rimasta spopolata dopo un’epidemia di una misteriosa malattia chiamata osteo-liquoma. Sulla costa numerose comunità si sono organizzate in tribù governate in genere dai Mandarini, ex-hippy ora cinquantenni un po’ rincitrulliti dalle droghe e fanatici del ballo. Anzi, in realtà fanatici dell’idea che i giovani debbano ballare. Per questo ormai ogni comunità ha il suo Danzatore. Un androide clonato da un tale O’Hara a partire dalle cellule della bocca i un altro tale di nome Bennet. Il Danzatore ha un carattere psichedelico e dispotico è generalmente aiutato da un lacchè dalla coscienza chimica (un ex-criminale violento che grazie alle medicine riesce a contenere i suoi impulsi) ed è abbastanza chiaro che finirà per sterminare tutti coloro che ballano al suo cospetto. Sam Mac Gregor, giovane abitante della tribù di Noyo che ha studiato da stregone da Joe Pomo decide di ribellarsi e piuttosto che mettersi a ballare con gli altri decide intraprende il viaggio del Graal, da cui nessun giovane è mai tornato mentalmente sano.
COMMENTO: Questo libro di Margaret St. Clair ha trentacinque anni, e ahimè si vedono proprio tutti. Non si dice in che anni sia ambientato ma credo di possa ipotizzare tra gli anni 90 e l’inizio del nuovo millennio. Sia questo sia la tematica hippy, danno al tutto un sapore di involontaria ucronia, più che di fantascienza. Non mancano trovate abbastanza interessanti (la descrizione dell’epidemia, le esperienze di extravita, l’idea della coscienza chimica), ma sono spesso estemporanee, ossia senza nessuna reale funzione nella trama. Per quanto riguarda la trama, poste le basi che vi ho raccontato prima e che bene o male si mettono a fuoco nelle prime 10/20 pagine, tutto il resto è un continuo venire catturato e fuggire del protagonista prima da solo e poi con la figlia di O’Hara recuperata per strada in maniera più o meno casuale. Alla fin fine il risultato è una sorta di pastiche non molto riuscito di stampo avventuroso-magico-fantascientifico su cui aleggia per tutto il tempo lo spettro di Joe Pomo (il cui solo nome è una risata sicura…). Ma il peggio è che alla lunga è la noia a farla da padrona.
Voto: 5
Il nome di Joe Pomo è dovuto al fatto che lo stregone appartiene alla tribù indiana dei Pomo, che esiste realmente, così come reali sono tutti i toponimi citati nel romanzo. Che a mio parere non è per niente male.
RispondiEliminaPremesso che a due anni di distanza non conservo ricordi sufficienti per una discussione critica, ho memoria precisa del fatto che come detto nella rece (al di là dell'ironia), io ho trovato che nel complesso la storia giri abbastanza a vuoto, proprio a livello di intreccio. A fronte di una storia che mi annoia il fatto che ci siano riferimenti realistici, cosa di per sé positiva, secondo me costituisce un merito abbastanza residuale. Poi chiaro, se tu invece l'hai trovata interessante è tutto un altro discorso!
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