Due chiacchiere preliminari: Ho sentito per la prima volta una loro canzone cantata da due ragazzetti cloni l’uno dell’altro (erano gemelli…) nonché dei Tokyo Hotel (ai miei occhi di adulto, almeno…) sul finire di una puntata di X-factor qualche mese fa (tu quoque! già vi sento dire: ebbene sì, io quoquo…). L’ho risentita alcuni giorni dopo passare alla radio nella sala d’aspetto del mio dentista. In nessuno dei due casi avevo capito né titolo né autore, ma grazie ad alcuni minuti di estrapolazioni via internet, tipo scrivendo su google il presupponibile testo del ritornello filtrato dalla mia scarso orecchio per l’inglese, sono riuscito a risalire a canzone e gruppo. Alla fine non ho potuto esimermi dalla seguente considerazione: ma come accipicchia facevamo ad avere qualche notizia del mondo quando internet non esisteva?!
Recensione: Gli “White lies” sono un gruppo inglese. “To lose my life…” è il loro primo (e a tutt’oggi unico) cd ed è uscito all’inizio del 2009. Wikipedia dice che il loro stile è stato paragonato a Interpol (da quel poco che ho sentito non glieli somiglio affatto) e Editors (non conosco), nonchè a storiche band “post punk” quali Joy Division (volendo…), Echo and the bunnyman eccetera.
Se lo chiedete a me, la canzone che da il nome al cd (la stessa che avevo sentito io su X-factor e dal dentista) sembra specialmente un pezzo dei New Order: fate conto Blue Monday, tanto per non sbagliare. Che gli White Lies siano della musica gothic degli anni ’80 è del tutto evidente, basta sentire la loro sezione ritmica, e il generale prevalere del basso sulla chitarra. Anche gli Smiths ci mettono lo zampino, qua e là, specialmente nel modo di cantare certi pezzi. Ma non solo, ci sono anche pezzi più pop (l’iniziale “Death”), e rasoiate di chitarra elettrica che tolgono il fiato.
Personalmente questo cd mi è piaciuto molto e non l’ho trovato, al di là degli innegabili riferimenti, una brutta copia di qualcosa di già sentito.
La voce del cantante spacca, e ci sono almeno tre canzoni che io trovo autenticamente memorabili (“To lose mi life”, “Unfinished businness” e “Farewell to the fairground”) e almeno altre tre che gli cedono pochissima distanza (“Death”, “A place to hide” e “The price of love”). Ma in generale praticamente tutti i pezzi sono interessanti: orecchiabili senza essere banali, intensi senza essere patetici. L’unico che trovo un po’ moscio è il penultimo “Nothing to give”.
Che si può chiedere di più a un cd?
P.s.: il 17 febbraio sono in concerto all’Alcatraz di Milano (20€ + diritti di prevendita).
Ne fanno anche un altro il 18 a Roma, ma non ho letto dove esattamente né quanto costa, ma se vi interessa potete cominciare la ricerca dal sito della band.
Recensione: Gli “White lies” sono un gruppo inglese. “To lose my life…” è il loro primo (e a tutt’oggi unico) cd ed è uscito all’inizio del 2009. Wikipedia dice che il loro stile è stato paragonato a Interpol (da quel poco che ho sentito non glieli somiglio affatto) e Editors (non conosco), nonchè a storiche band “post punk” quali Joy Division (volendo…), Echo and the bunnyman eccetera.
Se lo chiedete a me, la canzone che da il nome al cd (la stessa che avevo sentito io su X-factor e dal dentista) sembra specialmente un pezzo dei New Order: fate conto Blue Monday, tanto per non sbagliare. Che gli White Lies siano della musica gothic degli anni ’80 è del tutto evidente, basta sentire la loro sezione ritmica, e il generale prevalere del basso sulla chitarra. Anche gli Smiths ci mettono lo zampino, qua e là, specialmente nel modo di cantare certi pezzi. Ma non solo, ci sono anche pezzi più pop (l’iniziale “Death”), e rasoiate di chitarra elettrica che tolgono il fiato.
Personalmente questo cd mi è piaciuto molto e non l’ho trovato, al di là degli innegabili riferimenti, una brutta copia di qualcosa di già sentito.
La voce del cantante spacca, e ci sono almeno tre canzoni che io trovo autenticamente memorabili (“To lose mi life”, “Unfinished businness” e “Farewell to the fairground”) e almeno altre tre che gli cedono pochissima distanza (“Death”, “A place to hide” e “The price of love”). Ma in generale praticamente tutti i pezzi sono interessanti: orecchiabili senza essere banali, intensi senza essere patetici. L’unico che trovo un po’ moscio è il penultimo “Nothing to give”.
Che si può chiedere di più a un cd?
P.s.: il 17 febbraio sono in concerto all’Alcatraz di Milano (20€ + diritti di prevendita).
Ne fanno anche un altro il 18 a Roma, ma non ho letto dove esattamente né quanto costa, ma se vi interessa potete cominciare la ricerca dal sito della band.
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