sabato 2 ottobre 2010

La Passione

Per rilanciare la sua carriera un regista in crisi (Orlando), deve trovare una storia in cui far recitare una divetta televisiva (Capotondi) reduce da un serial in costume di grande successo. Il giorno del colloquio con il produttore, però, nella sua casa vacanze in Toscana un tubo traditore si rompe, allagando il suo appartamento e infiltrandosi fino ad un dipinto del ‘500 nella cappella sottostante. Per evitargli grane con la sovrintendenza la sindachessa gli chiede di essere il regista della sacra rappresentazione del paese cinque giorni dopo. Lui accetta ma delega l’incombenza ad un suo allievo ex-galeotto (Battiston) incontrato per caso sul posto, mentre continua a cercare una storia per il suo nuovo film.

La Passione è una galleria di personaggi e piccoli dettagli memorabili che però faticano a cucirsi insieme alla perfezione lasciando alla fine un vago sapore di irrisolto.
Le scene memorabili d’altronde sono parecchie: Battiston che improvvisa uno spettacolo per le vie dal borgo vestito da alieno e viene messo in fuga da un minuscolo cagnolino. La fila per telefonare con il cellulare (la sommità di una scalinata è l’unico punto del paese in cui c’è campo dopo che, per paura dell’elettrosmog, la cittadinanza ha fatto smontare il ripetitore). La figura di Guzzanti, ingaggiato come protagonista della rappresentazione, che normalmente sbarca il lunario leggendo le previsioni del tempo. I copioni scritti sotto dettatura dai bambini della scuola elementare, visto che le uniche due fotocopiatrici del paese sono guaste. La scena un cui Silvio Orlando a cena con la Capotondi con una gamba finto-ingessata trova finalmente un momento di ispirazione abborracciando un copione che per un istante sembra poterlo riscattare… ma poi tutto finisce in vacca. Eccetera eccetera.
Insomma il film non è perfetto, ma merita comunque la visione. Specialmente il finale mi ha lasciato francamente un po’ perplesso, ma spiegarvi il perché – oltre a costringermi a raccontarvelo - richiederebbe una trattazione di tre o quattro pagine, il chè non mi pare il caso…

Un approfondimento: il personaggio interpretato da Silvio Orlando.
Ho letto su internet alcune recensioni prima di scrivere questa mia e volevo scrivere questo piccolo supplemento per parlare di un aspetto che (almeno nel piccolo pool da me esplorato) sembro essere l’unico ad avere rilevato. Ho letto qualcuno che ha parlato del personaggio interpretato da Silvio Orlando come di “buono e giusto”, qualcun altro che ne ha parlato come di qualcuno che “lotta contro la volgarità imperante”, ma specialmente tutti sembrano pensare che noi dovremmo in qualche modo identificarci con lui e specialmente identificarlo col regista.
Per parte mia ho trovato invece il personaggio di Silvio Orlando decisamente negativo, uno di quei personaggi con cui è anzi assai difficile trovare un qualunque livello di solidarietà.
E’ la sua incuria a lasciare esplodere il tubo dell’acqua, la sua debolezza a renderlo facile bersaglio per un ricatto, il suo menefreghismo nei confronti dell’impegno preso a mettere la sacra rappresentazione a rischio di naufragio, la sua supponenza a mandare definitivamente a gambe all’aria la sua vita artistica.
Specialmente quest’ultimo aspetto mi pare emblematico. Chiamato a mettere insieme un copione (e accettato di farlo), per la Capotondi mente, prende tempo, finge di infortunarsi, abborraccia una storia trita e banale e di fronte ai più che legittimi dubbi della ragazza cerca di metterla nell’angolo con una citazione dotta – la via più facile per chi non ha argomenti. E’ veramente un piacere vederlo lasciare lì come un pesce lesso.
La volgarità impera? Forse sì. Ma la torre d’avorio dell’intellettuale che si ritiene migliore degli altri non è una risposta, questo a me è parso il messaggio di Mazzacurati. Il personaggio di Silvio Orlando mi è antipatico persino quando dice a Guzzanti che come attore è un cane (cosa peraltro evidente a tutti), rischiando di mandare in vacca la recita. E mi è antipatico due volte quando di inginocchia di fronte all’altro per riportarlo indietro.
Codardo e disvitale, è il perfetto rovescio della medaglia dell’Italia in cui la volgarità impera.

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