Sabato sera ho visto questo film in prima tv su raitre. Solitamente non faccio post per film visti in tv, ma in questo caso mi sento di fare un’eccezione. In realtà non so nemmeno io esattamente perché, “Pranzo di Ferragosto” è un film piccolo piccolo, breve, che non ti resta necessariamente in testa. Il motivo per cui lo faccio è che tratta un tema che al cinema di solito non va per la maggiore: la vecchiaia. “Come?” direte voi i film sono pieni di persone di una certa età, spesso hanno anche ruoli di primo piano, persino i cartoni animati ne hanno scoperto gli acciacchi (vedi “Up”). E’ vero, ma di solito o la loro età anagrafica è accidentale, o fanno i nonni, o raccontano la loro vita passata in quanto piena di episodi interessanti. Non c’è niente di sbagliato in questo, naturalmente, ma mi sento di fare un appunto: film come questi in realtà o non parlano proprio di vecchiaia o lo fanno solo marginalmente, utilizzandola come strumento narrativo per parlare d’altro. Una parziale eccezione è “Pomodori verdi fritti”, in cui se è vero che la narrazione del passato è preponderante, è anche vero che vengono trattate – pur con leggerezza - anche tematiche più crude: l’ospizio, la morte, la solitudine, la “gestione” dell’anziano.
In “Pranzo di Ferragosto” invece si parla proprio di vecchiaia in quanto tale. La storia è questa: un signore che vive con la madre anziana e ha un sacco di debiti, si trova ad ospitare in casa altre tre donne anziane (madre e zia del suo amministratore in fuga con l’amante, e la madre del suo medico curate) per un giorno e una notte. La donne
dapprima accettano questa convivenza malvolentieri ma poi stringono amicizia e vorrebbero che il tutto durasse più a lungo.
Niente più di questo, niente di “straordinario”, verrebbe da dire. No, proprio nulla, anzi ad essere messo in scena è proprio l’ordinario. Con rigore e leggerezza, ossia senza sconti (di certo la vecchiaia non viene mitizzata in saggezza) ma senza calcare la mano (nessun dramma a fare da catarsi).
Nessun rimpianto del passato, si parla vagamente dei figli, dei problemi economici della famiglia ospitante, ma è il presente a dominare la prospettiva. E’ bello vedere queste signore rimpallate come pacchi postali che inizialmente vengono accudite come bambine ma poi ritrovano, nel piacere dello stare insieme, la loro parte di indipendenza.
Specialmente mi piace molto il messaggio che il film manda: la vecchiaia non è una specie di “tempo supplementare” in cui passare le giornate ad attendere la morte. Anche quando si è pieni di acciacchi e la prospettiva del futuro giocoforza si restringe, c’è ancora una vita che vale la pena di vivere, nel presente, fino in fondo.
Brave le attrici (non professioniste) ma anche il protagonista (e regista), nel ruolo del figlio un po’ avvinazzato e cialtrone, ma in fondo di buon cuore. Da antologia la scena in cui lui e l’amico (altrettanto sfigato) vagano per una Roma spopolata alla ricerca di un po’ di pesce da cucinare per pranzo e finiscono a comprarlo da un gruppo di baraccati che si improvvisano pescatori nel Tevere.
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