E così anche quest’anno mi sono fatto prendere dal mio solito attacco di nazionalpopolarismo e mi sono sciroppato la prima serata di Sanremo. Io e Simona siamo arrivati un po’ lunghi per la verità, accendendo la tv soltanto alle nove e un quarto, nel momento in cui saliva sul palco il primo cantante in gara. Di cosa sia successo prima (e nemmeno se ci sia stato un “prima”) non saprei dire. Tra l’altro ci stavamo mettendo a tavola per cui abbiamo ascoltato le prime canzoni con l’orecchio sinistro e (ahimè!) non abbiamo compilato la solita tavola dei voti… ma magari stasera rimediamo.
Quindi fuoco alle polveri: comincia Dolcenera che per quanto mi riguarda esiste solo sul palco di Sanremo, in galleria la giuria demoscopica vota e già intuiamo qualche problema nel sistema. Poi c’è Samuele Bersani e il sistema di votazione elettronico è già in crack. Morandi ci annuncia che la valletta ufficiale (Ivanska Boh) è stata vittima di una sorta di colpo della strega e dietro le quinte stanno riesumando Elisabetta Canalis e Belen Rodriguez per allietarci di bellezza femminile. Cantano (dignitosamente) Noemi e Renga, entra Rocco Papaleo coi suoi diversi centimetri di esoftalmo e a me torna in mente “Classe di ferro” quella serie di fine anni ottanta sulla naja con la sigla cantata da Jovanotti e Pappalardo nella parte del sergente Scherone.
A suo modo è un bel ricordo. A suo modo.
Cantano anche una certa Civelli e Irene Fornaciari quindi arriva il molleggiato.
Celentano sorge dalla macerie del corpo di ballo dopo un filmato di apocalisse guerresca.
Attacca coi preti che nelle chiese hanno regolarmente un impianto scadente e negli ultimi banchi non si sente mai il sermone, “eppure il Vangelo era stato chiaro sull’argomento: gli ultimi saranno i primi nel regno dei cieli”. E qui già capiamo che siamo entrati in una zona ai confine del reale.
Poi con un tratto di penna bipartisan il molleggiato cancella Famiglia Cristiana e Avvenire grazie a un ragionamento alla “cosa scrivono a fare se tanto c’è la fame nel mondo” … e di qui in poi è tutto un piano inclinato tra la retorica populista e il delirio pseudomistico.
Un indigeribile polpettone da religiosità carismatica in cui il predicozzo ogni tanto si apre in una cantatina, e ad un certo punto ti aspetti che venga inquadrato John Belushi sul fondo della sala che, inargentato da un raggio di luce, grida “labbanda - labbanda”.
(P.s.: se vedete male il filmato cambiategli la qualità a 240p - la rotella in basso a dx)
Invece dal pubblico si alza Pupo, nella cui aura aleggiano i fantasmi di Emanuele Filly e Claudio Lippi e della finalissima di due anni fa conquistata a colpi di televoto da call center. Con argomenti da Grima Vermilinguo Pupo difende i lorsignori della Corte Costituzionale che hanno bocciato il referendum sulla legge elettorale santificato da un milione e duecentomila firme del popolo (perché va da sé che intanto l’abbiamo buttata in politica). Ma è il compare naturalmente, le cui parole servono solo a evocare un effetto rinforzo per quelle di Celentano. Il quale nella circostanza si lascia pure andare a qualche colpo di autoironia (finta, pelosa e pontificatoria, s’intende). Ultimo pistolotto sul sacrificio di Gesù morto per noi e finalmente, dopo un’ora almeno di strazio, il molleggiato si leva dalle palle.
Un grande spettacolo comunque. Davvero, eh, non scherzo. Non mi viene in mente nessuno in grado di evocare lo stesso clima da allucinazione collettiva. Magari Goebbels, chissà...
E a proposito di allucinazioni, riprende la gara: sul palco transita Emma Marrone che ci crocefigge i testicoli con una canzone “impegnata” su un reduce di guerra che non arriva a fine mese. Quindi arrivano i Marlene Kuntz che io di solito porto ad esempio di noia-fatta-a-musica ma in questo caso fanno forse il pezzo più bello della serata (se solo cambiassero quel cantante che, come si dice dalle mie parti, “al sàmbra Zalamòrt”…).
Arrivano le vallette di recupero, Belen ci informa che indossa il vestito di Ivanska e se lo aggiusta compulsivamente al seno, tanto che un po’ tutti ci poniamo domande su quali siano le sue misure se Belen ci balla dentro. Con Finardi arriva un altro fiotto di delirio pseudomistico, poi il duetto Bertè/D’Alessio su cui preferisco soprassedere.
Qui da qualche parte Rocco Papaleo fa cinque-minuti-cinque di teatro (i più divertenti di tutta la serata), poi ci assopiamo con Nina Zilli (e d’altronde ormai è mezzanotte…), quindi c’è Pierdavide Carone (featuring Lucio Dalla) che dimostra una qualche grazia. Penultima canta Arisa, che per una volta dismette la vocetta da Chipmunk e forse si piazza seconda nelle mie preferenze. Nota a margine: confesso che al di là di tutto ho una qualche simpatia per Arisa, come giudice dell’ultimo X-factor stretta tra Elio, la Ventura e il pestifero Morgan (che non perdeva occasione per tormentarla) era certamente l’alligatore albino della situazione e ha portato la croce con decoro. Ultimi cantanti in gara: Matia Bazar, di cui maggiormente mi è rimasto impresso nella memoria il vestito stile giubbotto di salvataggio di Silvia Mezzanotte (che peraltro al di là di questo mi piace moltissimo…).
In conclusione di serata arriva la nemesi storica. Dopo la paternale sulle firme del referendum mandate in niente dai lorsignori della Consulta, il voto della giuria demoscopica (che doveva eliminare due cantanti su quattrodici) viene annullato perché il guasto al sistema lo ha reso inaffidabile.
Ergo: uscite vino e taralli che non fu vera gara, tutti promossi alla seconda puntata.
Perché Sanremo è Sanremo.
Quindi fuoco alle polveri: comincia Dolcenera che per quanto mi riguarda esiste solo sul palco di Sanremo, in galleria la giuria demoscopica vota e già intuiamo qualche problema nel sistema. Poi c’è Samuele Bersani e il sistema di votazione elettronico è già in crack. Morandi ci annuncia che la valletta ufficiale (Ivanska Boh) è stata vittima di una sorta di colpo della strega e dietro le quinte stanno riesumando Elisabetta Canalis e Belen Rodriguez per allietarci di bellezza femminile. Cantano (dignitosamente) Noemi e Renga, entra Rocco Papaleo coi suoi diversi centimetri di esoftalmo e a me torna in mente “Classe di ferro” quella serie di fine anni ottanta sulla naja con la sigla cantata da Jovanotti e Pappalardo nella parte del sergente Scherone.
A suo modo è un bel ricordo. A suo modo.
Cantano anche una certa Civelli e Irene Fornaciari quindi arriva il molleggiato.
Celentano sorge dalla macerie del corpo di ballo dopo un filmato di apocalisse guerresca.
Attacca coi preti che nelle chiese hanno regolarmente un impianto scadente e negli ultimi banchi non si sente mai il sermone, “eppure il Vangelo era stato chiaro sull’argomento: gli ultimi saranno i primi nel regno dei cieli”. E qui già capiamo che siamo entrati in una zona ai confine del reale.
Poi con un tratto di penna bipartisan il molleggiato cancella Famiglia Cristiana e Avvenire grazie a un ragionamento alla “cosa scrivono a fare se tanto c’è la fame nel mondo” … e di qui in poi è tutto un piano inclinato tra la retorica populista e il delirio pseudomistico.
Un indigeribile polpettone da religiosità carismatica in cui il predicozzo ogni tanto si apre in una cantatina, e ad un certo punto ti aspetti che venga inquadrato John Belushi sul fondo della sala che, inargentato da un raggio di luce, grida “labbanda - labbanda”.
(P.s.: se vedete male il filmato cambiategli la qualità a 240p - la rotella in basso a dx)
Invece dal pubblico si alza Pupo, nella cui aura aleggiano i fantasmi di Emanuele Filly e Claudio Lippi e della finalissima di due anni fa conquistata a colpi di televoto da call center. Con argomenti da Grima Vermilinguo Pupo difende i lorsignori della Corte Costituzionale che hanno bocciato il referendum sulla legge elettorale santificato da un milione e duecentomila firme del popolo (perché va da sé che intanto l’abbiamo buttata in politica). Ma è il compare naturalmente, le cui parole servono solo a evocare un effetto rinforzo per quelle di Celentano. Il quale nella circostanza si lascia pure andare a qualche colpo di autoironia (finta, pelosa e pontificatoria, s’intende). Ultimo pistolotto sul sacrificio di Gesù morto per noi e finalmente, dopo un’ora almeno di strazio, il molleggiato si leva dalle palle.
Un grande spettacolo comunque. Davvero, eh, non scherzo. Non mi viene in mente nessuno in grado di evocare lo stesso clima da allucinazione collettiva. Magari Goebbels, chissà...
E a proposito di allucinazioni, riprende la gara: sul palco transita Emma Marrone che ci crocefigge i testicoli con una canzone “impegnata” su un reduce di guerra che non arriva a fine mese. Quindi arrivano i Marlene Kuntz che io di solito porto ad esempio di noia-fatta-a-musica ma in questo caso fanno forse il pezzo più bello della serata (se solo cambiassero quel cantante che, come si dice dalle mie parti, “al sàmbra Zalamòrt”…).
Arrivano le vallette di recupero, Belen ci informa che indossa il vestito di Ivanska e se lo aggiusta compulsivamente al seno, tanto che un po’ tutti ci poniamo domande su quali siano le sue misure se Belen ci balla dentro. Con Finardi arriva un altro fiotto di delirio pseudomistico, poi il duetto Bertè/D’Alessio su cui preferisco soprassedere.
Qui da qualche parte Rocco Papaleo fa cinque-minuti-cinque di teatro (i più divertenti di tutta la serata), poi ci assopiamo con Nina Zilli (e d’altronde ormai è mezzanotte…), quindi c’è Pierdavide Carone (featuring Lucio Dalla) che dimostra una qualche grazia. Penultima canta Arisa, che per una volta dismette la vocetta da Chipmunk e forse si piazza seconda nelle mie preferenze. Nota a margine: confesso che al di là di tutto ho una qualche simpatia per Arisa, come giudice dell’ultimo X-factor stretta tra Elio, la Ventura e il pestifero Morgan (che non perdeva occasione per tormentarla) era certamente l’alligatore albino della situazione e ha portato la croce con decoro. Ultimi cantanti in gara: Matia Bazar, di cui maggiormente mi è rimasto impresso nella memoria il vestito stile giubbotto di salvataggio di Silvia Mezzanotte (che peraltro al di là di questo mi piace moltissimo…).
In conclusione di serata arriva la nemesi storica. Dopo la paternale sulle firme del referendum mandate in niente dai lorsignori della Consulta, il voto della giuria demoscopica (che doveva eliminare due cantanti su quattrodici) viene annullato perché il guasto al sistema lo ha reso inaffidabile.
Ergo: uscite vino e taralli che non fu vera gara, tutti promossi alla seconda puntata.
Perché Sanremo è Sanremo.
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