CHIACCHIERE PRELIMINARI: Non conoscevo Johnatan Coe, mia madre ha regalato questo libro alla mia ragazza per Natale. Un po’ come “L’Ultima della sua specie” a ben pensarci… a pensarci bene forse dovrei dire a mia madre di regalare a me quello che pensa potrebbe piacere a Simona (la mia ragazza) e a lei quello che pensa potrebbe piacere a me. Probabilmente si avvicinerebbe di più alla realtà. Comunque l’importante è che ci arrivino in casa, poi a spartirceli ci pensiamo noi.
La TRAMA in due parole: il protagonista del libro è il tastierista di un gruppo in cerca di contratto discografico (gli Alaska Factory) ma che non se la passa molto bene: i loro risultati musicali non sono all’altezza delle aspettative e un giorno si e uno no sono sull’orlo dello scioglimento. Per questo il suo impresario (Chester) gli propone fare un provino con l’unico altro gruppo della sua scuderia e che ritiene più promettente di loro. Così un sabato sera i due convergono nello scalcinato edificio che funge loro da sala prove. Ed è proprio qui che, lasciato momentaneamente indietro assieme a Paisley, il cantante dell’altro complesso, assiste orripilato al suo assassinio da parte di due nani mascherati.
A quel punto il libro torna sui suoi passi e ricomincia da due settimane prima, raccontando la vita del protagonista , il difficoltoso rapporto con la sua ragazza (Madeline) e con gli altri membri dell’Alaska Factory. Una quantità di fatti che non sembrano avere alcuna relazione con il terribile Prologo-Epilogo, ma sarà veramente così?
COMMENTO: Leggendo i commenti su anobii questo libro non sembra essere stato in generale molto apprezzato. Personalmente io invece l’ho apprezzato. Innanzitutto bisogna chiarire che si tratta di un libro assai difficilmente inquadrabile e anche non del tutto riuscito, però per il mio personale senso dell’umorismo molto divertente. Cominciamo col dire questo: se vi capita di prenderlo in mano in libreria e di leggere la quarta di copertina dovete sapere che è abbastanza fuorviante. Inizia così: “Tragedia, malessere giovanile e la musica degli Smiths fanno da sottofondo…” che cosa vi suggerisce tutto questo, specialmente in combutta con il titolo? Esistenzialismo, droga e humor malinconico. Sbagliato, la verità è che questo libro si sarebbe dovuto chiamare come in originale “I nani della morte” e la quarta di copertina dovrebbe dire chiaramente che Johnatan Coe sta per farci una solenne pernacchia.
Infatti dopo un inizio degno di Quentin Tarantino (ma direi che gli è in realtà precedente) il nostro passa centocinquanta pagine a parlare allegramente d’altro. Ma proprio d’altro. Sì va bene, alla fine si capirà che c’era anche qualcosina che aveva attinenza con la storia iniziale, ma poteva benissimo stare in due facciate. Dopodiché la storia si conclude di nuovo con il tema iniziale. Eppure, nonostante la costruzione di questo romanzo contraddica completamente il manuale dello scrittore la magia su di me è riuscita abbastanza bene e alla fine sono rimasto comunque soddisfatto. Che sia chiaro, questo è un libro umoristico: niente filosofia, niente sottotesti, niente pigolanti malesseri di artisti incompresi (quando ci sono fanno pure loro ridere) e la storia è a tratti talmente delirante che non può non conquistare una persona come me e questi sono motivi per cui il mio giudizio è buono.
Tre difetti. Primo: ho trovato leggermente irritanti le divagazioni musicali (spesso con spartito incorporato) in quanto a volte troppo per addetti ai lavori. Secondo: le citazioni da canzoni degli Smiths che ritornano all’inizio di ogni capitolo sono perfettamente superflue. Terzo (ma questa non è colpa dell’autore): ho trovato discutibile la scelta di mettere in fondo al libro un raccontino, scritto qualche anno dopo, che ha come protagonista lo stesso del romanzo. Non è brutto per la verità, ma come tematiche e toni non c’entra assolutamente nulla.
sabato 31 gennaio 2009
domenica 25 gennaio 2009
BOOK 2009 – Nuovo progetto di XOMEGAP
Questo breve post per parlarvi di un nuovo progetto che mi vede coinvolto insieme al collettivo di scrittura di cui faccio parte (XOMEGAP) e in collaborazione con Marco Giorgini di KULT VIRTUAL PRESS e Walter Martinelli di ZONA HOLDEN; anche se in realtà è qualcosa che potenzialmente potrebbe anche interessare direttamente voi che leggete.
Il 7 e l’8 di marzo del 2009 al Foro Boario si svolgerà la seconda fiera Modenese della piccola e media editoria. All’interno di questa manifestazione siamo stati coinvolti nella realizzazione - e specialmente nella gestione - di tre racconti collettivi: uno a sfondo noir, uno fantasy e uno di narrativa, per così dire “generalista” (quello che all’estero definiscono “mainstream”).
La cosa funziona così: noi abbiamo scritto i tre PROLOGHI (uno per genere) e li abbiamo postati (insieme alle poche e semplici regole che abbiamo deciso di dare all’iniziativa) in tre diversi blog:
bookmodenanoir.blogspot.com per il genere noir
bookmodenafantasy.blogspot.com per il genere fantasy
bookmodenanarrativa.blogspot.com per il genere narrativa “mainstream”
Ora chiunque abbia tempo e voglia è libero di contribuire alla storia partendo da dove noi ci siamo interrotti inviandoci il primo capitolo di una delle storie (o volendo anche due o tutte e tre). Siccome, ahimè, la fiera non è lontana i tempi sono purtroppo assai compressi, perciò i testi di questo primo capitolo vanno consegnati entro la mezzanotte del 31 gennaio. I testi devono comunque essere brevi: da 3000 a 7000 battute (spazi compresi).
Tra tutti i testi pervenuti sceglieremo, per ciascun genere, quelli che riteniamo più adatti al prosieguo del racconto.
Dopodiché in linea di massima il primo di febbraio posteremo il capitolo 1 da noi scelto e fisseremo una data di consegna per il capitolo 2 (verosimilmente 5 giorni dopo) e così via.
Alla fine di tutto ciò i testi scelti saranno riuniti a formare tre diversi e-book che saranno presentati nella conferenza finale della fiera.
Che dire? Spero che qualche accidentale navigante di questo blog si faccia coinvolgere nel progetto!
Non so se verrà qualcosa di bello, però l’idea secondo me è molto carina.
mercoledì 21 gennaio 2009
IMAGO MORTIS
CHIACCHIERE PRELIMINARI (se non siete interessati passate direttamente al paragrafo dopo).
Innanzitutto lasciatemi dire che il fatto di riuscire per una volta a recensire un film in tempo reale (ossia quando esce al cinema) piuttosto che visto “x” anni dopo in dvd è per me fonte di una certa soddisfazione. Basterebbe che andassi di più al cinema, direte voi e non avete tutti i torti. Però. Se ci vado durante la settimana tendo ad addormentarmi, se invece ci vado nel week-end ci sono altri incerti, tra cui il maggiore è il seguente: qui a Modena i cinema stanno a poco a poco venendo assorbiti da un paio di grandi multisala. Assorbiti nel vero senso della parola: dietro una delle casse ho scorto un ragazzo che faceva la maschera in un altro cinema ormai defunto. Il Victoria ha aperto questa estate proprio dietro casa mia. Nove sale distribuite su tre piani con: bar self-service, sala giochi, tavolini per le attese e le chiacchiere e quant’altro. Una vera e propria cittadella del cinema. In linea teorica un potrebbe anche andarci a passare la serata senza nemmeno andarci, al cinema. Non dubito che qualche ragazzino lo faccia, effettivamente. Il problema è che sabato sera quel luogo è peggio di un girone dell’inferno. Peggio del Circo Basuko per chi ha visto Paura e Delirio a Las Vegas. Entrare nel parcheggio è stata un’esperienza allucinante, la fila alle casse addirittura surreale: un muro di gente confusa in un marasma d’inferno. Venti minuti di fila per ottenere due biglietti mentre sugli schermi il numero dei posti nella sala diminuiva sotto i nostri sguardi impotenti in un countdown malefico. Orde barbariche di adolescenti che erano venuti al cinema assieme in quattordici o forse quindici e che arrivati davanti al bigliettaio erano ancora indecisi sul loro numero complessivo nonchè sul film da andare a vedere. “Andiamo a vedere Imago Mortis!”, “No andiamo a vedere Sette Anime” (l’ultimo di Muccino: praticamente due scelta analoghe…) “Allora, Imago Mortis?”, “No Sette Anime!” “Ma la proiezione delle 22 e 47? O quella delle 23 e 12?”. Insomma grazie a Dio sono andati a vedere Sette Anime perché altrimenti ci seccavano di botto tutta la terza e la seconda fila e a noi toccava vedere il film impiccati in prima.
Ciò detto passiamo al film.
La TRAMA in due parole.
All’istituto per aspiranti registi Murnau uno studente che ha appena perso i genitori inizia ad avere visioni che coinvolgono il fantasma di un ragazzo presumibilmente morto cadendo dall’ultimo piano del palazzo. A seguito di quelle visioni il ragazzo reperirà un misterioso strumento creato da un alchimista del 1600 chiamato tanatoscopio, in grado di imprimere su una sorta di lastra fotografica l’ultima immagine impressa sulla retina di un essere umano prima della morte. Il ritrovamento di questo leggendario strumento contribuirà a far uscire dagli armadi gli scheletri di alcuni professori dell’istituto, nonché darà inizio ad un’inquietante catena di delitti.
Un breve COMMENTO.
Mi sono interessato a questo film dopo avere visto il trailer e dopo aver saputo che il regista è un italiano mentre il film è una coproduzione italo-ispanico-irlandese. Negli ultimi anni sotto il profilo dell’horror e dintorni la Spagna mi ha dato diverse soddisfazioni (i film di Balaguerò, i primi di Amenabar, qualcosa di Paco Plaza e forse più di tutti “Il labirinto del fauno” di Guillermo del Toro) per cui appena il film è arrivato mi sono fiondato immediatamente al cinema. Complessivamente sono rimasto soddisfatto. Imago Mortis è un buon film di genere, con una location stupenda, delle buone atmosfere e diverse suggestioni interessanti. Mi è piaciuta molto anche la colonna sonora (da cui trapela la parte irlandese della produzione). Nonché ho trovato molto interessante l’idea del tanatoscopio e la sua realizzazione visiva. In generale la cura scenografica è davvero notevolissima. Anche il finale non è male. Probabilmente la cosa un po’ più carente è la sceneggiatura. La storia non dico faccia acqua, però con l’andare del tempo si sfilaccia un pochino. A volte anche i dialoghi non sono molto interessanti e i personaggi risultano un po’ tagliati con l’accetta. Specialmente gli studenti che a volte ho fatto addirittura fatica a distinguere l’uno dall’altro: nel complesso sono molto più interessanti i professori.
Insomma concludendo, un film sicuramente consigliato agli amanti del cinema horror: specialmente chi ama i film d’atmosfera. Per quanto riguarda invece coloro che invece non lo amano, secondo me è il tipo di prodotto che rischia di non essere molto interessante.
Innanzitutto lasciatemi dire che il fatto di riuscire per una volta a recensire un film in tempo reale (ossia quando esce al cinema) piuttosto che visto “x” anni dopo in dvd è per me fonte di una certa soddisfazione. Basterebbe che andassi di più al cinema, direte voi e non avete tutti i torti. Però. Se ci vado durante la settimana tendo ad addormentarmi, se invece ci vado nel week-end ci sono altri incerti, tra cui il maggiore è il seguente: qui a Modena i cinema stanno a poco a poco venendo assorbiti da un paio di grandi multisala. Assorbiti nel vero senso della parola: dietro una delle casse ho scorto un ragazzo che faceva la maschera in un altro cinema ormai defunto. Il Victoria ha aperto questa estate proprio dietro casa mia. Nove sale distribuite su tre piani con: bar self-service, sala giochi, tavolini per le attese e le chiacchiere e quant’altro. Una vera e propria cittadella del cinema. In linea teorica un potrebbe anche andarci a passare la serata senza nemmeno andarci, al cinema. Non dubito che qualche ragazzino lo faccia, effettivamente. Il problema è che sabato sera quel luogo è peggio di un girone dell’inferno. Peggio del Circo Basuko per chi ha visto Paura e Delirio a Las Vegas. Entrare nel parcheggio è stata un’esperienza allucinante, la fila alle casse addirittura surreale: un muro di gente confusa in un marasma d’inferno. Venti minuti di fila per ottenere due biglietti mentre sugli schermi il numero dei posti nella sala diminuiva sotto i nostri sguardi impotenti in un countdown malefico. Orde barbariche di adolescenti che erano venuti al cinema assieme in quattordici o forse quindici e che arrivati davanti al bigliettaio erano ancora indecisi sul loro numero complessivo nonchè sul film da andare a vedere. “Andiamo a vedere Imago Mortis!”, “No andiamo a vedere Sette Anime” (l’ultimo di Muccino: praticamente due scelta analoghe…) “Allora, Imago Mortis?”, “No Sette Anime!” “Ma la proiezione delle 22 e 47? O quella delle 23 e 12?”. Insomma grazie a Dio sono andati a vedere Sette Anime perché altrimenti ci seccavano di botto tutta la terza e la seconda fila e a noi toccava vedere il film impiccati in prima.
Ciò detto passiamo al film.
La TRAMA in due parole.
All’istituto per aspiranti registi Murnau uno studente che ha appena perso i genitori inizia ad avere visioni che coinvolgono il fantasma di un ragazzo presumibilmente morto cadendo dall’ultimo piano del palazzo. A seguito di quelle visioni il ragazzo reperirà un misterioso strumento creato da un alchimista del 1600 chiamato tanatoscopio, in grado di imprimere su una sorta di lastra fotografica l’ultima immagine impressa sulla retina di un essere umano prima della morte. Il ritrovamento di questo leggendario strumento contribuirà a far uscire dagli armadi gli scheletri di alcuni professori dell’istituto, nonché darà inizio ad un’inquietante catena di delitti.
Un breve COMMENTO.
Mi sono interessato a questo film dopo avere visto il trailer e dopo aver saputo che il regista è un italiano mentre il film è una coproduzione italo-ispanico-irlandese. Negli ultimi anni sotto il profilo dell’horror e dintorni la Spagna mi ha dato diverse soddisfazioni (i film di Balaguerò, i primi di Amenabar, qualcosa di Paco Plaza e forse più di tutti “Il labirinto del fauno” di Guillermo del Toro) per cui appena il film è arrivato mi sono fiondato immediatamente al cinema. Complessivamente sono rimasto soddisfatto. Imago Mortis è un buon film di genere, con una location stupenda, delle buone atmosfere e diverse suggestioni interessanti. Mi è piaciuta molto anche la colonna sonora (da cui trapela la parte irlandese della produzione). Nonché ho trovato molto interessante l’idea del tanatoscopio e la sua realizzazione visiva. In generale la cura scenografica è davvero notevolissima. Anche il finale non è male. Probabilmente la cosa un po’ più carente è la sceneggiatura. La storia non dico faccia acqua, però con l’andare del tempo si sfilaccia un pochino. A volte anche i dialoghi non sono molto interessanti e i personaggi risultano un po’ tagliati con l’accetta. Specialmente gli studenti che a volte ho fatto addirittura fatica a distinguere l’uno dall’altro: nel complesso sono molto più interessanti i professori.
Insomma concludendo, un film sicuramente consigliato agli amanti del cinema horror: specialmente chi ama i film d’atmosfera. Per quanto riguarda invece coloro che invece non lo amano, secondo me è il tipo di prodotto che rischia di non essere molto interessante.
mercoledì 14 gennaio 2009
INATTESI SPAZI DI VISTA
Qualche giorno fa la Gazzetta di Modena ha pubblicato un articolo sul libro Inattesi Spazi di Vista, progetto a cui ho contribuito con un racconto dal titolo "Il fantasma".
Siccome quello che c'è scritto non si legge ho trascritot il testo per sublime diletto dei miei numerosissimi lettori. Potevo anche avanzare, lo so, ma ormai avevo già fatto il lavoro per il BLOG di XOMEGAP quindi perchè non metterlo anche qui?
MODENA - Si intitola "Inattesi spazi di Vista: parole ed immagini tra gli angoli suggestivi di Modena" l'originale ed inedita pubblicazione a cura dell'associazione culturale Artegenti, Ed. Marchio Giallo, una sorta di guida di Modena i cui itinerari sono commentati ed accompagnati da originali racconti, poesie e foto di giovani aspiranti scrittori modenesi. Il libro è il brillante risultato di un concorso indetto da Artegenti, costituitasi nel 2007, che ha consentito a tanti autori di interpretare, secondo la propria sensibilità artistica e letteraria gli angoli più nascosti di Modena sublimandoli in soggetti di racconti, poesie e fotografie. Nel libro vengono descritti 20 luoghi del centro storico descritti secondo i canoni di una tradizionale guida chiosato da racconti ad essi ispirati. Un libro che potrebbe diventare "un ottimo vademecum" per i modenesi annota Pino Ligabue nella postfazione, autore di un arguto racconto sui fatti avvenuti alla Cittadella come l'impiccagione di Menotti tradito da Francesco IV, prolifico scrittore che racconta l'ingresso di Vittorio Emanuele II a Modena il 4 maggio 1869 da Porta Sant'Agostino. Poi Marco Panini con racconto ambientato sotto i portici di Via Emilia e vicolo Suqallore durante la crisi del 1897-1898; Adalgia PIni parla dei Giardini Ducali ed il racconto sulla Bonissima di Patrizia Carretti e la poesia "Mo ch'lavor" di Elena Fini. Elisabetta Amaduzzi e Simone Covili scrivono ispirandosi alla statua del Perseo nel cortile del palazzo comunale al pari di Sara Bosi che ambienta il racconto nell'antico anfiteatro dove si articola ora la curvilinea via Casnalino. Corso Canalgrande è fonte di ispirazione per il racconto di Anna Perna e Vicolo Santa Maria delle Assi per Manuela Fiorini. Roberta De Piccoli con una poesia che trae spunto dal Vecchi, Giulio Ferrari dalla Fontana d'Abisso, Cleide dall'accademia di Belle Arti, Massimliano Prandini dalla Pomposa e la casa di Muratori e Daniela Ori sui musei con un originale racconto su Vetilia. Infine via dei Servi, vicoloGrassetti ela casa natale di G.B. Amici motivo d'ispirazione per Beppe Benassi e infine Via Sant'Eufemia per Giorgio Mattei. Un prezioso volume a cura di Gabriele Sorrentino, Pino Ligabue, Nicoletta Corradini ed Alice Bellelli.
Confesso che non tutto quello che c'è scritto mentre lo trascrivevo mi sembrava avere senso, ma tant'è. Se ho saltato dei pezzi pazienza comunque il senso generale dovrebbe essere chiaro...
domenica 11 gennaio 2009
L'ULTIMA DELLA SUA SPECIE
Mia madre ha regalato questo libro a Simona (la mia compagna) nel Natale del 2007. Come accade dalle mie parti a Natale arrivano sempre più libri di quelli che si riescano a leggere, e questo era stato uno di quelli che avevamo entrambi momentaneamente accantonato. L’ho scelto sotto le feste perché mi andava di leggere qualcosa di fuori dal mio abituale seminato. E’ stata una bella sorpresa.
La TRAMA in due parole: il libro racconta trent’anni della vita di una donna (la narratrice, nonché credo di potermi sbilanciare a dire “l’autrice”, visto che la sensazione che il romanzo sia autobiografico è molto forte) dagli anni del college fino, grossomodo, alla fine degli anni novanta. Gli anni della contestazione: gli hippy, la politica. I guai familiari: in particolare un rapporto turbolento con la madre e una delle sorelle fuggita di casa a quattordici anni. E poi gli anni successivi: il lavoro in una “rivista femminile”, due matrimoni, i problemi della sorella perduta e ritrovata. Ma in particolare la vicenda è centrata sull’amicizia tra la narratrice ed Ann, una ragazza molto particolare (l’ultima della sua specie, appunto) conosciuta al college.
Come accennavo prima questo libro mi è piaciuto molto (infatti su anobii gli ho dato quattro stelle). I motivi sono vari. Innanzitutto il tema con cui inizia il libro: il sessantotto e gli anni successivi sono un periodo che su di me hanno un certo fascino, probabilmente perché me li sono sentiti raccontare (e forse anche mitizzare) a lungo dai miei genitori. Di quegli anni, l’autrice da una lettura abbastanza disincantata: in due parole anni pieni di fermento, ma anche di brutture. E’ interessante specialmente la sua visione laterale della cosa, infatti la protagonista vive la politica di rimbalzo, principalmente attraverso la passione dell’amica Ann.
Un secondo motivo per cui mi il libro è piaciuto (forse il principale) è lo stile narrativo. Semplice e lineare ma con una commistione molto azzeccata di durezza e pudore, specialmente nel raccontare dei sentimenti. Tra le altre cose si parla anche, ad esempio, di follia e vita in carcere e l’autrice non ha paura di sbattercene davanti agli occhi la crudezza, senza però esagerare mai nella drammatizzazione. Per fare un altro esempio quando parla del “grande amore della sua vita” decide di scrivere in terza persona.
Un’ultima nota per chi si volesse avvicinare al libro, cosa che per me nel caso specifico è stato un valore aggiunto ma la cosa non è scontata: si tratta di un libro molto incentrato su figure femminili. Gli uomini hanno quasi sempre ruoli marginali e spesso dimostrano molti più difetti che qualità. Una frase che secondo me è emblematica del tono usato nei confronti del genere maschile è nella descrizione di uno dei numerosi uomini con cui la narratrice ha una relazione e suona grossomodo così: “Sì, Tal Dei Tali come persona non era malaccio, comunque non peggiore della media.”
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venerdì 2 gennaio 2009
LA MACCHINA DEL CAPO
Ieri sera su La7 hanno trasmesso in diretta uno spettacolo di Marco Paolini.
E’ la terza volta in un anno o poco più (a quanto ricordo, almeno). Il primo spettacolo è stato “Il sergente” tratto da un libro di Mario Rigoni Stern, uno spettacolo sulla seconda guerra mondiale. Il secondo spettacolo è stato “Album d’aprile” in cui Paolini ha ripreso e fatto un collage di alcuni sui vecchi spettacoli “Gli Album”.
In questo “La macchina del capo” invece il materiale è almeno in parte originale. O almeno non mi pareva di averlo mai sentito e dal momento che ho visto molti dei suoi spettacoli non credo di sbagliarmi. Altro materiale invece è tratto sempre dagli “Album”.
La location dello spettacolo era l’ex tribunale di Padova, sullo sfondo era montata come scenografia una costruzione che imitava l’imponente facciata spoglia di un palazzo che ricordava gli anni cinquanta/sessanta; un palazzo che poteva essere una scuola, la pertinenza di un edificio religioso o una colonia e infatti nel corso dello spettacolo è stata ciascuna di queste cose. Il palco era fatto ad imitazione di una lavagna, o forse era proprio tale perché Paolini ogni tanto, come rivelavano alcune inquadrature dall’alto, ci disegnava sopra con un gigantesco gessetto. Davanti al palazzo di sfondo era tirato un filo per stendere con appesi indumenti giganteschi e sul palco sparsi alcuni oggetti di scuola, sempre giganti: un paio di matite, quelle gomme tonde piatte e dure con la plastica e il buco al centro, che ho imparato ieri sera essere “per macchina da scrivere”.
Il tema dello spettacolo era, come si poteva già si poteva capire dalla scenografia, l’infanzia. Paolini si raccontava come un bambino delle elementari di nome Nicola, come faceva anche negli Album dedicati a quell’età della sua (certamente rielaborata) vita. E in effetti di quei testi tornano anche le tematiche (l’amicizia, il rapporto con i genitori, la religione) nonché i personaggi: Nano, Gianvittorio, il mitico Cesarino (“Non son capace!”).
Che dire… ovviamente mi è piaciuto moltissimo, ma non sono obiettivo perché nutro un amore viscerale nei confronti di Marco Paolini, capace come pochi (forse a pensarci bene dovrei dire “come nessun altro”) di farmi ridere ed emozionare a volte persino nella stessa frase.
Volevo raccontarvi un aneddoto. Ho conosciuto Marco Paolini in una seconda serata televisiva di una decina di anni fa, quando dalla diga del Vajont raccontò la tragedia della sua esondazione a più di trent’anni di distanza. E’ successo per caso. Stavo chiacchierando con mio padre, sdraiato sul letto dei miei, la televisione della loro camera andava in sottofondo. Mio padre mi disse che voleva vedere quello spettacolo e io pensai di rimanere per qualche minuto. Il giorno dopo dovevo alzarmi ragionevolmente presto per cui non volevo far tardi, ma una volta iniziato a guardare lo spettacolo non sono più riuscito a staccarmene. Non avevo mai sentito parlare di quel fatto di cronaca. Mi sembrava terrificante l’idea che in Italia potesse essere accaduto qualcosa del genere in tempi che ancora valutavo come recenti: dopotutto i miei genitori c’erano e la guerra era passata da un pezzo. D’altronde allora avevo un’idea molto vaga di tutto ciò che era accaduto nel dopoguerra, quasi che da allora a qui il nostro paese dovesse avere sempre vissuto senza altre tragedie, benedetta gioventù! (ed ecco che dopo questa esclamazione corro a spararmi nelle palle…).
Beh insomma, dopo lo spettacolo sul Vajont per molti anni non mi è più capitato di incrociare la strada di Marco Paolini. Poi a partire da tre o quattro anni fa ho recuperato lo spettacolo sulla tragedia di Ustica (I-TIGI), quindi sono andato a vedere a teatro quello su Porto Marghera (Parlamento Chimico): altri spaccati stupendi dell’Italia di anni che io non ho vissuto (ma che tragicamente stenta a passare). Quindi ho scoperto che mia madre (intanto con passare degli anni i miei genitori si erano separati e io ero andato a vivere con Simona, la mia compagna) aveva comprato “Gli album”: cinque o sei dvd di spettacoli fiume che raccontano la storia di Nicola (alter-ego di Paolini) dall’infanzia all’età adulta. Per certi versi è sempre una storia dell’Italia di quegli anni, anche se vissuta dal punto di vista molto personale: forse l’unica sua opera che mi è piaciuta ancor più di quella sul Vajont.
E’ stato proprio vedendo gli Album che sono stato avvolto da una strana sensazione: io parte di quei testi avevo l’impressione di conoscerli già. Come era possibile? Specialmente all’entrata in scena di Piero Matto (che appare anche in La Macchina del Capo) la sensazione è stata palpabile.
Poi mi è venuto in mente. Alle medie la nostra professoressa di italiano ci aveva portato a teatro a vedere uno spettacolo che parlava di un gruppo di bambini, fortemente incentrato sulle loro partite di pallone nel campetto del quartiere. Un monologo recitato da un ragazzo che poteva avere venticinque o trent’anni (in realtà ne aveva trentacinque). Ricordavo che mi era piaciuto un sacco. Praticamente ero stato l’unico di tutta la classe a cui fosse piaciuto, ricordavo bene di avere riso a crepapelle e di essermi quasi commosso, ma non ricordavo minimamente chi fosse l’attore o il titolo dell’opera. Ebbene facendo una ricerca ho scoperto che sette anni prima di Vajont avevo visto “Tiri in porta”, uno dei primi Album.
E… beh niente.
E’ stata una scoperta bizzarra, ecco tutto.
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