CHIACCHIERE PRELIMINARI: Non conoscevo Johnatan Coe, mia madre ha regalato questo libro alla mia ragazza per Natale. Un po’ come “L’Ultima della sua specie” a ben pensarci… a pensarci bene forse dovrei dire a mia madre di regalare a me quello che pensa potrebbe piacere a Simona (la mia ragazza) e a lei quello che pensa potrebbe piacere a me. Probabilmente si avvicinerebbe di più alla realtà. Comunque l’importante è che ci arrivino in casa, poi a spartirceli ci pensiamo noi.
La TRAMA in due parole: il protagonista del libro è il tastierista di un gruppo in cerca di contratto discografico (gli Alaska Factory) ma che non se la passa molto bene: i loro risultati musicali non sono all’altezza delle aspettative e un giorno si e uno no sono sull’orlo dello scioglimento. Per questo il suo impresario (Chester) gli propone fare un provino con l’unico altro gruppo della sua scuderia e che ritiene più promettente di loro. Così un sabato sera i due convergono nello scalcinato edificio che funge loro da sala prove. Ed è proprio qui che, lasciato momentaneamente indietro assieme a Paisley, il cantante dell’altro complesso, assiste orripilato al suo assassinio da parte di due nani mascherati.
A quel punto il libro torna sui suoi passi e ricomincia da due settimane prima, raccontando la vita del protagonista , il difficoltoso rapporto con la sua ragazza (Madeline) e con gli altri membri dell’Alaska Factory. Una quantità di fatti che non sembrano avere alcuna relazione con il terribile Prologo-Epilogo, ma sarà veramente così?
COMMENTO: Leggendo i commenti su anobii questo libro non sembra essere stato in generale molto apprezzato. Personalmente io invece l’ho apprezzato. Innanzitutto bisogna chiarire che si tratta di un libro assai difficilmente inquadrabile e anche non del tutto riuscito, però per il mio personale senso dell’umorismo molto divertente. Cominciamo col dire questo: se vi capita di prenderlo in mano in libreria e di leggere la quarta di copertina dovete sapere che è abbastanza fuorviante. Inizia così: “Tragedia, malessere giovanile e la musica degli Smiths fanno da sottofondo…” che cosa vi suggerisce tutto questo, specialmente in combutta con il titolo? Esistenzialismo, droga e humor malinconico. Sbagliato, la verità è che questo libro si sarebbe dovuto chiamare come in originale “I nani della morte” e la quarta di copertina dovrebbe dire chiaramente che Johnatan Coe sta per farci una solenne pernacchia.
Infatti dopo un inizio degno di Quentin Tarantino (ma direi che gli è in realtà precedente) il nostro passa centocinquanta pagine a parlare allegramente d’altro. Ma proprio d’altro. Sì va bene, alla fine si capirà che c’era anche qualcosina che aveva attinenza con la storia iniziale, ma poteva benissimo stare in due facciate. Dopodiché la storia si conclude di nuovo con il tema iniziale. Eppure, nonostante la costruzione di questo romanzo contraddica completamente il manuale dello scrittore la magia su di me è riuscita abbastanza bene e alla fine sono rimasto comunque soddisfatto. Che sia chiaro, questo è un libro umoristico: niente filosofia, niente sottotesti, niente pigolanti malesseri di artisti incompresi (quando ci sono fanno pure loro ridere) e la storia è a tratti talmente delirante che non può non conquistare una persona come me e questi sono motivi per cui il mio giudizio è buono.
Tre difetti. Primo: ho trovato leggermente irritanti le divagazioni musicali (spesso con spartito incorporato) in quanto a volte troppo per addetti ai lavori. Secondo: le citazioni da canzoni degli Smiths che ritornano all’inizio di ogni capitolo sono perfettamente superflue. Terzo (ma questa non è colpa dell’autore): ho trovato discutibile la scelta di mettere in fondo al libro un raccontino, scritto qualche anno dopo, che ha come protagonista lo stesso del romanzo. Non è brutto per la verità, ma come tematiche e toni non c’entra assolutamente nulla.
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